Pubblicato da Studio di Psicologia Eufonia su GuidaPsicologi.it all'indirizzo web http://www.guidapsicologi.it/articoli/lirritabilita-grave-nel-bambino. ![]() L'irritabilità è una eccessiva risposta agli stimoli. Il bambino irritabile è un bambino che fatica ad accettare frustrazioni, anche minime, mettendo in campo reazioni che vanno dai capricci, piagnucolii, a veri e propri scoppi di collera e aggressività contro gli oggetti e le persone. In alcuni casi, l'irritabilità del bambino può essere legata ad uno stile educativo genitoriale particolarmente indulgente, che non gli permette di confrontarsi con la possibilità di posticipare nel tempo la gratificazione dei propri desideri, con il risultato che il bambino non sarà capace di aspettare e tollerare minime frustrazioni delle proprie richieste. In altri casi, l'irritabilità infantile cronica può segnalare la presenza di un problema più importante. L'irritabilità nei bambini è stata particolarmente studiata negli ultimi anni, con lo scopo di meglio comprenderne la fenomenologia e comprendere quando diventa il segnale di qualcosa che non va nella vita e nella salute del bambino. Le ricerche epidemiologiche evidenziano un incremento delle diagnosi di disturbo bipolare BP tra i bambini e gli adolescenti americani negli ultimi 15 anni. Secondo alcuni ricercatori la ragione di questo aumento della diagnosi è la considerazione dell'irritabilità grave e cronica come manifestazione tipica del BP nei bambini e negli adolescenti. In età evolutiva l'irritabilità cronica sarebbe, infatti, l'equivalente della mania. L'irritabilità, che va dall'essere semplicemente noiosi/fastidiosi e permalosi, all'essere rabbiosi con scoppi di collera, è comune nei disturbi mentali (prevalenza tra il 3% e il 20%); essa è considerata una vera e propria manifestazione di disregolazione del tono dell'umore. La SMD è una condizione caratterizzata da:
Questi sintomi incominciano prima dei 12 anni per almeno un anno, non ci sono periodi senza sintomi superiori ai 2 mesi. (Leibenluft et al., 2003; trad. it. mia) Il National Institute of Mental Health (2001) ha proposto che la SMD sia una manifestazione evolutiva precoce della mania, identificando il cosiddetto "broad phenotype" del disturbo bipolare in età evolutiva. Quindi il bambino con irritabilità cronica è un bambino bipolare? Studi longitudinali si sono occupati di meglio comprendere la natura e l'evoluzione nel tempo della SMD. Brotman et al. (2006) ha ripreso il concetto di Severe Mood Dysregolation (SMD), sottolineando la forte comorbidità con il disturbo della condotta e, più in generale, con i disturbi da comportamento dirompente - il 67% circa dei soggetti SMD avevano anche un'altra diagnosi in asse I, di cui il 26% ADHD, il 25% disturbo della condotta, il 24% disturbo oppositivo provocatorio – segnalando la necessità di un'accurata diagnosi differenziale tra i disturbi dell'umore e i disturbi del comportamento. Tale studio ha evidenziato, inoltre, che il 20% circa dei soggetti SMD rispettavano i criteri anche per disturbo d'ansia e/o disturbi depressivi, sottolineando l'influenza dell'umore sulle manifestazioni comportamentali. In questo studio longitudinale, Broatman mostra, però, che al follow-up i soggetti SMD avevano maggiore probabilità di mostrare un disturbo depressivo e non di tipo bipolare. Risultati simili sono stati replicati anche in altri studi (Mikita & Stringaris, 2013; Axelson et al., 2012; Leibenluft et al, 2003, 2006), avvalorando la tesi secondo la quale la disregolazione del tono dell'umore in età evolutiva, che assume le forme di irritabilità e scoppi di collera, in realtà, sia una condizione che permette di predire l'insorgere in età adulta di un disturbo dell'umore di natura depressiva e non bipolare e, quindi, deve rientrare a pieno diritto tra i criteri diagnostici della depressione in età evolutiva. Il recente DSM 5 (APA, 2013) ha risolto in parte la diatriba trai sostenitori dell'irritabilità come precursore della mania e i sostenitori del sintomo come manifestazione tipica del disturbo depressivo in età evolutiva, introducendo una nuova diagnosi, il Disturbo da disregolazione dell'umore dirompente (DMDD), che è stato inserito nel capitolo dedicato ai disturbi depressivi e in cui centrale è la valutazione dell'irritabilità infantile. Cosa vuol dire tutto questo? La nuova diagnosi DSM 5, sicuramente, evidenzia la necessità di valutare più attentamente l'umore, prima di porre una diagnosi di disturbo del comportamento (nelle sue varie forme), considerando la forma di intervento terapeutico più appropriata. Visto il sovrapporsi della sintomatologia, un interrogativo rimane rispetto alla diagnosi differenziale con il disturbo bipolare con esordio nell'infanzia e adolescenza, al fine di un intervento precoce. Consigli per i genitori In tutti i casi sopracitati, anche nelle situazioni in cui si deve valutare la presenza di un disturbo psichiatrico precoce, l'irritabilità rimane sempre espressione di una difficoltà del bambino a comprendere quanto sta accadendo attorno a lui, il Mondo che vive e la possibilità di non vedere immediatamente realizzati i propri desideri. Lo stile educativo è lo strumento che ciascun genitore ha a sua disposizione per aiutare il bambino, insegnandogli la possibilità di autoregolazione delle proprie emozioni e permettendogli di superare l'illusione di onnipotenza. Secondo gli esperti lo stile educativo autorevole è, senza dubbio, l'approccio educativo più coerente e capace di promuovere tale capacità di autoregolazione. Il genitore autorevole richiede rispetto e stabilisce regole e tempi per soddisfare ciascun desiderio e volontà del bambino, ne riconosce i bisogni e sollecita la sua opinione. Il genitore autorevole riesce a stabilire un rapporto affettuoso con i propri figli, riconosce e valorizza la loro personalità, li educa ad essere autonomi e li incoraggia ad assumersi le proprie responsabilità e a rispettare gli accordi. Bibliografia
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Articolo originale pubblicato su http://brainfactor.it/index.php?option=com_content&view=article&id=717:indagine-preliminare-sullapplicazione-del-metodo-ermeneutico-fenomenologico-alla-process-research&catid=46:integrazioni&Itemid=3 Secondo Di Nuovo (2007), affinché la psicoterapia possa definirsi sperimentalmente convalidabile occorre che si avvalga, per la verifica delle proprie ipotesi, della triplice procedura adottata dalle scienze naturali, che ottenga cioè una convalida logica, una convalida pragmatica e una convalida esplicativa.
La convalida logica pertiene alla coerenza tra teoria psicopatologica, obiettivi terapeutici e tecniche di intervento, e ha lo scopo di acquisire una concordanza tra le nuove conoscenze e il corpus teorico che né è matrice. La convalida pragmatica concorre alla verifica degli effetti: una strategia d’intervento è valutata secondo criteri di efficacia e di utilità. Questo approccio è definito in letteratura “outcome research” in quanto fondato sulla valutazione del risultato per mezzo di confronti pre e post-terapia ed eventuali follow up (Migone, 1996). La convalida esplicativa pertiene invece all’ambito della “process research” che considera il processo terapeutico nel suo incedere: è l’evolversi del cambiamento del paziente a essere posto a tema dell’indagine attraverso momenti di assessment periodici (Di Nuovo, 2007; Migone, 1996). Questo tipo di approccio è finalizzato a fornire il senso di ciò che accade in terapia definendo, al di là dell’esito, perché il trattamento funziona o meno. Il “cambiamento” può essere valutato secondo modalità essenzialmente quantitative, qualitative o attraverso una procedura mista. La valutazione quantitativa, sostanziando l’effetto esperienziale della terapia in misurazioni psicometriche, prescinde però perlopiù dal «Chi» del paziente (e del terapeuta); coglie il “quanto” ma non il “come” del processo terapeutico (Liccione, 2011; Liccione, 2012; Allegri et al., 2011; Petesi et al., 2011). L’alternativa qualitativa, invece, attraverso metodologie come l’analisi del discorso e l’analisi narrativa intende cogliere il senso del processo clinico, con specifico riferimento ai processi terapeutici che sottendono il cambiamento esperienziale del paziente (Di Nuovo, 2000). L’approccio ermeneutico fenomenologico, coniugando lo studio dell’autobiografia - nell’accezione ricoeuriana di identità narrativa - e lo studio dell’esperienza in prima persona, fornisce una possibile metodologia di analisi del processo terapeutico a contributo degli studi sulla process research. Esperienza e raccontoIl racconto di sé è la riconfigurazione narrativa della propria esperienza. Secondo Ricoeur (1990) la concatenazione di eventi che costituisce l’intreccio di una storia, consente di combinare la “stabile” permanenza del protagonista nel tempo (medesimezza), con la variabilità e la discontinuità dell’esperienza (ipseità). L’intreccio, dunque, possiede una propria forma di identità dinamica attuata attraverso la seconda fase della Mimesis (riconfigurazione), che permette la “sintesi dell’eterogeneo” e, conseguentemente, “la concordanza discordante”: viene così risolta l’urgenza di armonizzare la narrazione secondo un principio d’ordine includendo discordanze minaccianti l’unità della stessa. Tuttavia, parte importante della psicopatologia origina proprio da modalità non identitarie di riconfigurare l’esperienza in racconto (alterazione identitaria) (Liccione, 2011; 2012). L’obiettivo della terapia diventa pertanto la trasformazione di Sè, che accade quando, attraverso il racconto in terapia e l’attuazione delle consegne fornite dal terapeuta, il paziente riconosce dei modi esperienziali non identitariamente riconfigurati o non affatto riconfigurati. Applicazioni e metodologia in una psicoterapia individuale di 22 seduteLo scopo del nostro lavoro è apportare un contributo alla process research attraverso l’applicazione di una metodologia di analisi qualitativa fondata sul metodo ermeneutico-fenomenologico. Il materiale su cui è avvenuta l'analisi è composto dalle trascrizioni delle videoregistrazioni di un intero percorso psicoterapeutico, costituito da 22 colloqui, distribuiti lungo l'arco di 11 mesi. La variabile d’interesse è rappresentata dallo sviluppo narrativo delle tematiche giudicate significative nel determinare la sofferenza del paziente. La codifica sistematica dei racconti degli episodi, riportati come esemplificativi di una tematica, ha permesso di cogliere le trasformazioni esperienziali. Infatti, come sopra sinteticamente accennato, la rifigurazione della narrativa personale non è un cambiamento dei punti di vista bensì la conseguenza dei cambiamenti dei propri modi di fare esperienza. La metodologia prevede i seguenti passaggi:
Nell’esempio clinico considerato, i risultati della codifica mostrano come da un punto di vista quantitativo la frequenza di episodi critici riportati lungo il corso della terapia e in ogni singolo colloquio decrescono sensibilmente nelle fasi finali della terapia: il paziente riferisce sempre meno situazioni di sofferenza e i singoli colloqui diventano via via monotematici (es.: grafico 1). Circa l’evolversi del cambiamento si riporta, a titolo esemplificativo, l’analisi di uno dei temi più significativi tra quelli emersi nella terapia del caso clinico preso in esame in questo lavoro: sentirsi non considerati/svalutati da parte dell’alterità. La “non considerazione” rappresentava un tce di estrema rilevanza, contestualizzato nell’intreccio di una storia di vita caratterizzata da una costante assenza di scambi interattivo-affettivi fin dall’infanzia. La maggior parte delle situazioni relazionali caratterizzate da un rifiuto (es.: non ricevere un finanziamento dalla banca), venivano riconfigurate dal paziente nei drastici termini di una non accettazione personale, perlopiù legata all’idea di non essere considerato degno, adeguato, capace, ecc. La disposizione emotiva generata da queste esperienze ha condotto, nel suo perpetuarsi, alla storicizzazione di sentimenti di rabbia e di sofferenza in ogni occasione di percepita svalutazione da parte dell’alterità. Nei primi colloqui, alla tematica si associano vissuti di ansia, ruminazione, insonnia e inazione, accompagnati da emozioni intense di rabbia, inadeguatezza, irritazione, odio, disagio, fastidio, tristezza, dispiacere, rassegnazione, inquietudine, rimorso e delusione. La mancata appropriazione esperienziale del paziente si esplicita nello spiegarsi la sofferenza come una conseguenza dei comportamenti inadeguati degli altri e non dei propri modi di essere (grafico 2). A seguito degli interventi del terapeuta, mirati a contestualizzare le emozioni e a permettere al paziente di creare parallelismi tra diverse esperienze appartenenti allo stesso tce, il paziente arriva in seduta portando spontaneamente una riflessione, esemplificativa dell'appropriazione dell'esperienza della non considerazione e di un racconto identitario (episodio 6a). In seguito si è potuto osservare un numero più esiguo di episodi problematici appartenenti al tce (non considerazione), e la sofferenza diviene meramente esistenziale. Il paziente riporta ancora episodi legati alla non considerazione, essendo questo un tema storico, ma le emozioni che vi si accompagnano assumono valore in relazione al contesto e alla rete coerente di rimandi. In altri termini, nell’esempio considerato (tce: non considerazione), si nota in modo evidente come il paziente, in seguito all’appropriazione occorsa in seduta (6°) della propria specifica modalità esperienziale, inizi a trasformare la modalità esperienziale stessa, rendendola emotivamente meno intensa e quantitativamente meno frequente. ConclusioniQuesto metodo di analisi del testo, qui sinteticamente esposto solo nelle sue linee generali, e al momento applicato a una sola psicoterapia, intende fornire un contributo metodologico e scientifico alle indagini della process-research. A partire da un insieme di temi critici esistenziali, che il terapeuta può formalizzare a partire dagli episodi raccontati dal paziente, risulta possibile un’analisi temporale dell’andamento degli stessi, sia sul versante della loro frequenza, sia sul versante della loro specifica modalità di manifestazione (natura degli episodi nei quali il tce occorre, qualità emotiva associata, ecc.). Inoltre, e questo dalla nostra ricerca preliminare sembra essere l’aspetto più importante, questo tipo di analisi ben si presta a correlare gli interventi del terapeuta con l’appropriazione/rifigurazione esperienziale del paziente circa i tce considerati. Bibliografia
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Il termine resilienza viene dal latino <<resalio>> che significa saltare/rimbalzare.
In psicologia col termine resilienza si indica la capacità del soggetto di adattarsi agli eventi avversi della vita. La resilienza è, dunque, la capacità di un soggetto di mantenere un discreto livello di adattamento nonostante le circostanze sfavorevoli. Secondo Michael Rutter, la resilienza è la capacità di svilupparsi in modo accettabile, nonostante la presenza di uno stress o di un’avversità che comporta normalmente il rischio di un esito negativo. Si tratta, quindi, non solo di capacità di resistere alle avversità, ma soprattutto di capacità di superare le difficoltà: la persona resiliente, infatti, quando è sottomessa a pressioni, non soltanto resiste, ma è in grado di proteggere la sua integrità, di costruirsi ed aprirsi strade alternative. Ne sono una dimostrazione i sopravvissuti ad eventi traumatici o altamente stressanti: accanto a persone che rimangono irrimediabilmente segnate dalle esperienze vissute, ci sono persone che, al contrario, riescono ad utilizzare quelle esperienze per apprendere qualcosa di sé o dell'ambiente che li circonda. La resilienza è, in altre parole, la capacità di trasformare un'esperienza difficile, dolorosa o stressante in un apprendimento. La persona resiliente, infatti, è capace di acquisire delle competenze utili al miglioramento della qualità di vita e all’organizzazione di un percorso autonomo e soddisfacente, nonostante la difficoltà. Se l'ambiente in cui l'individuo si ritrova a vivere è ostile o non accogliente, il soggetto con una buona capacità di resilienza riuscirà ad adattarsi, promuovendo un cambiamento di sé che faciliti quell'adattamento. Si tratta, dunque, di un processo di continuo riadattamento, che la persona mette in atto di fronte alle avversità che incontra nella sua vita riuscendo a crescere e vivere “sana” pur in condizioni svantaggiate. Caratteristiche La resilienza non è statica, ma dinamica. Ogni situazione, ogni momento storico della vita di una persona o di una società porterà ad un rimaneggiamento della capacità di resilienza di ognuno. La resilienza, infatti, è il risultato dell'interazione dinamica di 3 elementi, che sono:
Per spiegare bene il concetto Anthony ha proposto la cosiddetta metafora delle 3 bambole. Se prendiamo 3 bambole composte da materiali differenti (vetro, plastica e acciaio) e diamo a ciascuna bambola un colpo di martello di pari intensità, gli effetti del colpo saranno differenti a seconda del materiale di cui è fatta la bambola: la bambola di vetro si frantumerà in mille pezzi; la bambola di plastica riporterà una cicatrice permanente; la bambola in acciaio non subirà alcun danno. Tale metafora è stata ripresa e modificata da Manciaux, che ha sottolineato che la capacità di resilienza di un individuo non dipende solo da fattori personologici, ma è il risultato dell'interazione di più fattori. Se lasciamo cadere una bambola, quindi, l’oggetto si romperà più o meno facilmente a seconda: - della natura del suolo: cemento, sabbia… - della forza del lancio: negligenza o aggressione - del materiale di cui è fatta: vetro, porcellana, pezza o acciaio. Il suolo rappresenta l’ambiente/contesto nel quale il soggetto vive (familiare, sociale e culturale); il lancio rappresenta l’evento difficile o traumatico vissuto, lo stressor; la resistenza del materiale è il livello di vulnerabilità legato alla personalità del soggetto. Strategie utili per sviluppare resilienza:
di Dott.ssa Maria Luisa Abbinante ![]() La resilienza: cos'è? didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. ![]()
Dal mese di Ottobre 2014 è ripartito il corso di formazione in informatica di base promosso dal comune di Villa Cortese (MI), in collaborazione con la cooperativa sociale Albatros di Legnano (MI). anche in questa edizione è previsto un piccolo modulo di riflessione condotto dalla dott.ssa Maria Luisa Abbinante, con l'obbiettivo di lavorare sulla motivazione dei lavoratori che si sono rivolti allo sportello lavoro (info qui).
La ricerca in campo psicologico si è molto interessata al tema della perdita del lavoro e della disoccupazione e ai loro effetti sulla salute dell'individuo. La perdita del lavoro e la disoccupazione rappresentano un momento di importante crisi per l'individuo, che sente minacciata la sua identità personale e professionale. La perdita del lavoro, infatti, causa un peggioramento non soltanto delle condizioni economiche, ma anche della sua:
Dopo una prima fase di difficoltà l'individuo riesce a riattivarsi al fine di cercare una nuova opportunità lavorativa, mostrandosi anche molto motivato e ambizioso. Se nel breve periodo la ricerca ha un buon esito, il lavoratore ritorna in breve tempo ad una condizione di benessere individuale. Se la ricerca non produce effetti nel breve periodo, l'individuo sperimenta una fase di profonda crisi personale, perdita di fiducia e paralisi. Progressivamente questa fase di profondo pessimismo e paralisi personale viene abbandonata a favore di un un atteggiamento di forte fatalismo, in cui da un lato c'è il riconoscimento dei cambiamenti nel mondo del lavoro, dall'altro questo riconoscimento porta ad una de-motivazione dovuta al fatto che l'individuo non attribuisce la possibilità di trovare un nuovo lavoro al suo impegno nella ricerca. Il gruppo motivazionale vuole partire dall'osservazione di un atteggiamento di profonda sfiducia e demotivazione dei lavoratori disoccupati. L'obbiettivo dell'intervento è promuovere un atteggiamento critico rispetto alla propria condizione di disoccupazione, al fine di incentivare un cambiamento dello stile attributivo del disoccupato, motivando ad adottare un comportamento di ricerca attiva del lavoro. di dott.ssa Maria Luisa Abbinante ![]() Riparte il corso di formazione per disoccupati e inoccupati. didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. ![]()
La conoscenza e la comprensione della lingua italiana rappresentano due delle principali difficoltà che i minori immigrati, sia di prima che di seconda generazione, si ritrovano a dover affrontare al momento del primo ingresso a scuola italiana. Gli stessi educatori, sia della scuola materna che della scuola primaria, spesso rimandano agli operatori sanitari il sospetto di disturbi specifici del linguaggio (DSL) o, più avanti nel tempo, di disturbi specifici dell'apprendimento (DSA).
In realtà parlare di DSL o DSA nei bambini immigrati è alquanto pericoloso, per il rischio di scambiare per DSL o DSA, ovvero per disturbi con una forte matrice neurocognitiva, una difficoltà che è legata all'apprendimento della seconda lingua, l'italiano. Questi bambini sono, infatti, a tutti gli effetti dei bambini bilingui, con tutte le problematiche che la letteratura associa all'apprendimento di una seconda lingua in termini fonologici, lessicali, morfosintattici e pragmatici. È possibile distinguere diverse tipologie di bilinguismo:
I bambini immigrati, sia di prima che di seconda generazione, difficilmente si ritrovano in una condizione di bilinguismo simultaneo. Nella maggior parte dei casi, infatti, questi bambini hanno un accesso alla L2, l'italiano, a carattere intermittente ed episodico sino all'ingresso alla scuola materna, che diventa il contesto di principale socializzazione alla lingua e agli usi e costumi della cultura italiana. In molti casi si assiste, da questo momento in poi, ad uso settoriale delle due lingue: a casa la prima lingua, L1, a scuola l'italiano, L2. Tale condizione, inevitabilmente, determina delle difficoltà e problematicità, che potrebbero essere erroneamente riconosciute dagli operatori scolastici come DSL o DSA. Si sono moltiplicati negli anni numerosi studi che hanno avuto come oggetto l'apprendimento delle lingue in bambini bilingui immigrati. Le teorie a riguardo sono abbastanza contrastanti:
Le principali problematicità dell'apprendimento linguistico nel bambino immigrato riguardano, inoltre:
Uno studio condotto da Pàez e colleghi (2007), infine, dimostra che il bilinguismo sommato alla condizione di migrante può rappresentare un ulteriore fattore di rischio, in quanto i bambini bilingui analizzati avevano prestazioni nei compiti linguistici analizzati di circa 2 d.s. inferiori a quello dei monolingui. Tutto questo significa che non si può fare diagnosi di DSL nei bambini stranieri? Ovviamente no! Una diagnosi di DSL è possibile anche nei bambini non madrelingua italiani, anche se in questi casi la diagnosi differenziale deve essere ancora più precisa ed accurata, che dovrà tener conto, tra le altre cose, dell'età e del tempo di esposizione alla L2. Bibliografia
di dott.ssa Maria Luisa Abbinante ![]() Disturbi specifici del linguaggio nei bambini stranieri: una diagnosi possibile? diMaria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. ![]()
Le ricerche epidemiologiche, negli ultimi anni, hanno mostrato un incremento dei tassi di prevalenza dei disturbi psichici in età evolutiva. In particolare è emerso che circa il 10% dei ragazzi compresi nella fascia d'età 14/18 (pre-adolescenti e adolescenti) soffrono di un disturbo psichico di diversa natura.
In tutti i campi della medicina e della salute si diffonde la cultura della prevenzione. Prevenzione, riprendendo la definizione del World Health Organization, non significa soltanto creare le condizioni affinché una condizione di rischio non si verifichi (prevenzione primaria), ma è anche diagnosi precoce (prevenzione secondaria) e intervento tempestivo (prevenzione terziaria). Da qui la necessità, sostenuta a più voci, di individuare precocemente i disturbi psicopatologici gravi (es. le psicosi) con esordio in epoca adolescenziale, al fine di un trattamento precoce. L'intervento precoce, infatti, aumenterebbe la recovery dei pazienti, con un minore rischio di cronicizzazione del disturbo, minori tassi di disabilità e compromissione del funzionamento generale, sociale e lavorativo e minore ricorso al ricovero ospedaliero. In effetti, da più fronti, la ricerca ha evidenziato che il mancato intervento, nei casi di disturbi psicopatologici gravi, porta ad una progressiva perdita delle abilità cognitive e sociali del soggetto, che, a loro volta, offrono un terreno fertile ad un ulteriore peggioramento sintomatologico e comportamentale. Il Piano Nazionale Salute Mentale (2013) sostiene la necessità di dare avvio ad esperienze cliniche sperimentali dedicate alla fascia adolescenziale, ponendo particolare attenzione agli esordi di disturbi psicologici gravi e alla necessità di integrazione con i servizi di salute mentale dedicati agli adulti. Il trattamento dei disturbi psichici nella fascia d'età adolescenziale, infatti, presenterebbe non poche criticità, tra cui: la scarsa afferenza di adolescenti e pre-adolescenti alle unità operative di neuropsichiatria dell'infanzia e adolescenza, che rimangono entro il 4% nonostante la stima della psicopatologia si attesti attorno al 10%; le difficoltà nella gestione delle acuzie psichiatriche in adolescenza, a causa del numero esiguo di posti letto e di reparti di neuropsichiatria atti ad accogliere le urgenze, che porta spesso a dei ricoveri impropri; il passaggio della presa in carico dalla neuropsichiatria alla psichiatria al compimento del 18°anno di età, spesso difficoltoso a causa della mancata integrazione dei servizi. Costruire un servizio dedicato alla diagnosi e trattamento precoce dei disturbi psicopatologici in adolescenza significa, quindi, porsi in un'ottica di:
Come detto sopra, parlare di diagnosi precoce è particolarmente importante quando si affronta il tema delle psicosi. La ricerca, negli ultimi anni, ha sostenuto la possibilità di individuare precocemente situazioni di rischio di esordio psicotico, gli Ultra High Risk o Stati Mentali a Rischio, che individuano soggetti, considerati a rischio di sviluppare un disturbo grave, sulla base della presenza di segni e sintomi considerati prodromi dei distubi psicotici (Edwards & McGorry, 2002), Più in generale possiamo distinguere diversi stadi che portano alla manifestazione psicotica, che sono:
Hafner (1996) sostiene che, in media, tra la comparsa dei primi segni di malattia e l'esordio psicotico acuto passano circa 5 anni, periodo che potrebbe essere sfruttato per attivare interventi volti a prevenire la comparsa della franca psicosi o a minimizzarne le conseguenze: l'intervento precoce, infatti, produce effetti favorevoli a lungo termine sul decorso dei sintomi negativi, depressivi e cognitivi, oltrechè sul funzionamento sociale dei soggetti. Intervenire al fine di riddurre la durata della psicosi non trattata (DUP), quindi, significa migliorare l'outcome e la recovery di tali soggetti. Tale possibilità di maggiore recupero in caso di intervento precoce deriva dalla teoria del deficit neuromaturazionale, la teoria più accreditata in questo momento sull'eziologia delle psicosi e della schizofrenia, che postula che ci sarebbe una vulnerabilità biologica (innata o acquisita) alla psicosi, quella che molti autori chiamano schizotipia. Non necessariamente tale vulnerabilità porta alla psicosi franca, ma può esitare in una serie di sintomi o quadri sub clinici, come disturbi schizoidi o schizotipici. Tale vulnerabilità rimarrebbe latente per tutta la prima infanzia (sebbene possano esserci alcuni elementi che, a posteriori, sono valutati come fattori di rischio permanenti), per poi essere pienamente espressa a partire dall'adolescenza, con la quasi completa maturazione del sistema nervoso centrale. Se la teoria del deficit neuro-maturazionale è vera, quindi, permettere ai soggetti che presentano segni di rischio di accedere ad interventi terapeutici e di sostegno dovrebbe diminuire l'impatto di tale deficit e interrompere la spirale che porta al graduale peggioramento dei sintomi. Bibliografia
di dott.ssa Maria Luisa Abbinante ![]() Esordi Psicopatologici in adolescenza: la necessità di integrazione, diagnosi precoce e trattamento tempestivo. didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. ![]() Anche quest'anno partirà il "M.I.P. - Maggio di Informazione Psicologica", una manifestazione che ha lo scopo di informare su argomenti propri della psicologia e promuovere una cultura del benessere psicologico, con il coinvolgimento di professionisti psicologi in tutta Italia. Come negli scorsi anni, la dott.ssa Abbinante aderisce al M.I.P. dando la disponibilità ad effettuare un numero limitato di primi colloqui gratuiti nel mese di Maggio. Puoi prenotare già da oggi il tuo primo colloquio gratuito attraverso il form qui sotto o attraverso la pagina Contatti di questo sito. Il colloquio sarà effettuato nel mese di Maggio in date da stabilirsi. di dott.ssa Maria Luisa Abbinante ![]()
A partire dagli anni 70 si è assistito ad un cambiamento nel mondo della psichiatria, con il passaggio da un modello psichiatrico di tipo custodialistico, di cui i manicomi erano la rappresentazione fondamentale, ad un modello orientato alla recovery.
Per recovery si intende un processo di cambiamento attraverso il quale gli individui migliorano il proprio stato di salute e di benessere, vivono una vita auto-diretta e cercano di esprimere il loro pieno potenziale (SAMHSA, 2011). Dimensioni cruciali della recovery psichiatrica sono, quindi:
Il modello orientato alla recovery si sviluppa prima nei paesi anglosassoni, dove si diffonde anche l'idea che la recovery possa esser favorita dal supporto tra pari. Solo recentemente tale modello è arrivato in Italia e stà trovando attuazione in diversi programmi di intervento all'interno dei dipartimenti di salute mentale e nel terzo settore. Nel 2010, l'OMS ha pubblicato un documento "Users empowermwnt in mental health. Empowerment is not a destination but a journey", che sottolinea come, all'interno del contesto della salute mentale, il concetto di recovery sia legato a doppio filo con la possibilità di scelta, di decisione e controllo che gli utenti dei servizi di salute mentale possono avere sugli eventi della propria vita. Cosa si intende per supporto tra pari? Il supporto tra pari può essere definito come il supporto emotivo e pratico mutualmente offerto da persone che condividono una medesima condizione, al fine di ottenere un cambiamento ed una crescita personale e sociale. Strumento è il gruppo di auto-aiuto. Come funziona il supporto tra pari? Tale strategia di intervento si basa sulla figura di un Peer Supporter, ovvero di un individuo, che ha sofferto di un disturbo mentale importante, ma che ora si trova in una fase avanzata di recovery (di recupero) e che, in virtù della propria esperienza personale di malattia, ben conosce le difficoltà connesse alla malattia mentale e allo stigma. Il Peer Supporter, così, diventa un riferimento positivo e a cui aspirare all'interno del suo gruppo. Efficacia del supporto tra pari. Le ricerche condotte in questo campo mostrano che il supporto tra pari porta dei benefici sia al Peer Supporter che ai soggetti in fase di recovery meno avanzate, infatti:
Bibliografia
![]() La recovery psichiatrica e il supporto tra pari. didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. ![]() Da oggi è possibile chiedere un consulto gratuito, per un problema tuo o di un tuo caro, direttamente dal sito. Scegli Consulto on line nel menù a tendina, compila il modulo richiesta consulto, invia ed è fatta. Nel più breve tempo possibile riceverai risposta su come risolvere il tuo problema direttamente al tuo indirizzo di posta elettronica. ![]() Da oggi anche la sede di Busto Arsizio aderisce ai Protocolli d'Intesa con la Guardia di Finanza e con la Polizia di Stato. Per tutti i dipendenti - in servizio ed in congedo - e per i loro familiari il primo incontro sarà gratuito ed i successivi avranno una tariffa agevolata. Puoi richiedere maggiori informazioni compilando il modulo di richiesta qui sotto. Modulo richiesta informazioni |
dott.ssa Abbinante
È Psicologa Consulente presso l'UONPIA (Unità Operativa di NeuroPsichiatria dell'Infanza e dell'Adolescenza) della ASST Rhodense di Garbagnate Milanese nell'ambito del Programma Innovativo Regionale “Procedura Operativa dell'emergenza/urgenza psichiatrica in adolescenza”, dove si occupa di diagnosi e trattamento di disturbi psicopatologici con esordio in adolescenza. Si occupa di valutazione e trattamento di esordi psicopatologici nell'infanzia e nell'adolescenza, di interventi di supporto della genitorialità, di sostegno psicologico a persone con malattia cronica e di prevenzione ed intervento precoce nella fragilità dell'anziano. Argomenti trattati nel sito
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