DOTT.SSA MARIA LUISA ABBINANTE PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA
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DOTT.SSA MARIA LUISA ABBINANTE
PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA

L'irritabilità grave nel bambino

29/5/2015

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Pubblicato da Studio di Psicologia Eufonia su GuidaPsicologi.it all'indirizzo web http://www.guidapsicologi.it/articoli/lirritabilita-grave-nel-bambino.
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L'irritabilità è una eccessiva risposta agli stimoli. Il bambino irritabile è un bambino che fatica ad accettare frustrazioni, anche minime, mettendo in campo reazioni che vanno dai capricci, piagnucolii, a veri e propri scoppi di collera e aggressività contro gli oggetti e le persone.

In alcuni casi, l'irritabilità del bambino può essere legata ad uno stile educativo genitoriale particolarmente indulgente, che non gli permette di confrontarsi con la possibilità di posticipare nel tempo la gratificazione dei propri desideri, con il risultato che il bambino non sarà capace di aspettare e tollerare minime frustrazioni delle proprie richieste.
In altri casi, l'irritabilità infantile cronica può segnalare la presenza di un problema più importante.

L'irritabilità nei bambini è stata particolarmente studiata negli ultimi anni, con lo scopo di meglio comprenderne la fenomenologia e comprendere quando diventa il segnale di qualcosa che non va nella vita e nella salute del bambino.
Le ricerche epidemiologiche evidenziano un incremento delle diagnosi di disturbo bipolare BP tra i bambini e gli adolescenti americani negli ultimi 15 anni. 
Secondo alcuni ricercatori la ragione di questo aumento della diagnosi è la considerazione dell'irritabilità grave e cronica come manifestazione tipica del BP nei bambini e negli adolescenti. In età evolutiva l'irritabilità cronica sarebbe, infatti, l'equivalente della mania.
L'irritabilità, che va dall'essere semplicemente noiosi/fastidiosi e permalosi, all'essere rabbiosi con scoppi di collera, è comune nei disturbi mentali (prevalenza tra il 3% e il 20%); essa è considerata una vera e propria manifestazione di disregolazione del tono dell'umore.

La SMD è una condizione caratterizzata da:
  • un umore di base abnorme – es. irritabilità, rabbia e/o tristezza, riportata dagli altri e presente per la maggior parte del tempo;
  • almeno 3 segni di iperarousal – insonnia, irrequietezza motoria, distraibilità, fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente, maggiore loquacità del solito, oppure spinta continua a parlare;
  • aumentata reattività a stimoli emotivi negativi - esplosioni di collera che si manifestano per almeno 3 volte a settimana;
  • compromissione significativa in almeno 2 ambiti - sociale, lavorativo, scolastico.

Questi sintomi incominciano prima dei 12 anni per almeno un anno, non ci sono periodi senza sintomi superiori ai 2 mesi. (Leibenluft et al., 2003; trad. it. mia)

Il National Institute of Mental Health (2001) ha proposto che la SMD sia una manifestazione evolutiva precoce della mania, identificando il cosiddetto "broad phenotype" del disturbo bipolare in età evolutiva.

Quindi il bambino con irritabilità cronica è un bambino bipolare?

Studi longitudinali si sono occupati di meglio comprendere la natura e l'evoluzione nel tempo della SMD.
Brotman et al. (2006) ha ripreso il concetto di Severe Mood Dysregolation (SMD), sottolineando la forte comorbidità con il disturbo della condotta e, più in generale, con i disturbi da comportamento dirompente - il 67% circa dei soggetti SMD avevano anche un'altra diagnosi in asse I, di cui il 26% ADHD, il 25% disturbo della condotta, il 24% disturbo oppositivo provocatorio – segnalando la necessità di un'accurata diagnosi differenziale tra i disturbi dell'umore e i disturbi del comportamento.
Tale studio ha evidenziato, inoltre, che il 20% circa dei soggetti SMD rispettavano i criteri anche per disturbo d'ansia e/o disturbi depressivi, sottolineando l'influenza dell'umore sulle manifestazioni comportamentali. In questo studio longitudinale, Broatman mostra, però, che al follow-up i soggetti SMD avevano maggiore probabilità di mostrare un disturbo depressivo e non di tipo bipolare.
Risultati simili sono stati replicati anche in altri studi (Mikita & Stringaris, 2013; Axelson et al., 2012; Leibenluft et al, 2003, 2006), avvalorando la tesi secondo la quale la disregolazione del tono dell'umore in età evolutiva, che assume le forme di irritabilità e scoppi di collera, in realtà, sia una condizione che permette di predire l'insorgere in età adulta di un disturbo dell'umore di natura depressiva e non bipolare e, quindi, deve rientrare a pieno diritto tra i criteri diagnostici della depressione in età evolutiva.
Il recente DSM 5 (APA, 2013) ha risolto in parte la diatriba trai sostenitori dell'irritabilità come precursore della mania e i sostenitori del sintomo come manifestazione tipica del disturbo depressivo in età evolutiva, introducendo una nuova diagnosi, il Disturbo da disregolazione dell'umore dirompente (DMDD), che è stato inserito nel capitolo dedicato ai disturbi depressivi e in cui centrale è la valutazione dell'irritabilità infantile.

Cosa vuol dire tutto questo?

La nuova diagnosi DSM 5, sicuramente, evidenzia la necessità di valutare più attentamente l'umore, prima di porre una diagnosi di disturbo del comportamento (nelle sue varie forme), considerando la forma di intervento terapeutico più appropriata.

Visto il sovrapporsi della sintomatologia, un interrogativo rimane rispetto alla diagnosi differenziale con il disturbo bipolare con esordio nell'infanzia e adolescenza, al fine di un intervento precoce.

Consigli per i genitori

In tutti i casi sopracitati, anche nelle situazioni in cui si deve valutare la presenza di un disturbo psichiatrico precoce, l'irritabilità rimane sempre espressione di una difficoltà del bambino a comprendere quanto sta accadendo attorno a lui, il Mondo che vive e la possibilità di non vedere immediatamente realizzati i propri desideri.

Lo stile educativo è lo strumento che ciascun genitore ha a sua disposizione per aiutare il bambino, insegnandogli la possibilità di autoregolazione delle proprie emozioni e permettendogli di superare l'illusione di onnipotenza.

Secondo gli esperti lo stile educativo autorevole è, senza dubbio, l'approccio educativo più coerente e capace di promuovere tale capacità di autoregolazione. Il genitore autorevole richiede rispetto e stabilisce regole e tempi per soddisfare ciascun desiderio e volontà del bambino, ne riconosce i bisogni e sollecita la sua opinione. Il genitore autorevole riesce a stabilire un rapporto affettuoso con i propri figli, riconosce e valorizza la loro personalità, li educa ad essere autonomi e li incoraggia ad assumersi le proprie responsabilità e a rispettare gli accordi.


Bibliografia

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Disturbi specifici del linguaggio nei bambini stranieri: una diagnosi possibile?

15/5/2014

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La conoscenza e la comprensione della lingua italiana rappresentano due delle principali difficoltà che i minori immigrati, sia di prima che di seconda generazione, si ritrovano a dover affrontare al momento del primo ingresso a scuola italiana. Gli stessi educatori, sia della scuola materna che della scuola primaria, spesso rimandano agli operatori sanitari il sospetto di disturbi specifici del linguaggio (DSL) o, più avanti nel tempo, di disturbi specifici dell'apprendimento (DSA).

In realtà parlare di DSL o DSA nei bambini immigrati è alquanto pericoloso, per il rischio di scambiare per DSL o DSA, ovvero per disturbi con una forte matrice neurocognitiva, una difficoltà che è legata all'apprendimento della seconda lingua, l'italiano. Questi bambini sono, infatti, a tutti gli effetti dei bambini bilingui, con tutte le problematiche che la letteratura associa all'apprendimento di una seconda lingua in termini fonologici, lessicali, morfosintattici e pragmatici.

È possibile distinguere diverse tipologie di bilinguismo:
  • bilinguismo simultaneo – si realizza una esposizione parallela alle due lingue entro i 2-3 anni;
  • bilinguismo successivo – il bambino viene esposto dapprima ad una lingua, che diremo L1 e solo in un secondo momento, tra i 3-8 anni, sarà esposto alla L2;
  • bilinguismo tardivo – quando l'esposizione alla L2 avviene dopo gli 8-10 anni;

I bambini immigrati, sia di prima che di seconda generazione, difficilmente si ritrovano in una condizione di bilinguismo simultaneo. Nella maggior parte dei casi, infatti, questi bambini hanno un accesso alla L2, l'italiano, a carattere intermittente ed episodico sino all'ingresso alla scuola materna, che diventa il contesto di principale socializzazione alla lingua e agli usi e costumi della cultura italiana. In molti casi si assiste, da questo momento in poi, ad uso settoriale delle due lingue: a casa la prima lingua, L1, a scuola l'italiano, L2.

Tale condizione, inevitabilmente, determina delle difficoltà e problematicità, che potrebbero essere erroneamente riconosciute dagli operatori scolastici come DSL o DSA.

Si sono moltiplicati negli anni numerosi studi che hanno avuto come oggetto l'apprendimento delle lingue in bambini bilingui immigrati.
Le teorie a riguardo sono abbastanza contrastanti: 
  • in alcuni casi si afferma che l'esposizione precoce alla lingua del paese ospitante è un vantaggio per il bambino, che potrà trasferire le competenze acquisite con la L1 anche nella L2;
  • in altri casi si affermano le cosiddette teorie del bilinguismo sottrativo, che sostengono l'ipotesi di un apprendimento competitivo della L1 ed L2: la L2, in altre parole, l'apprendimento della L2 sottrarrebbe risorse deputate all'apprendimento della lingua madre, con effetti negativi su entrambe le lingue, quali lessico povero e povera profiency/competenza linguistica. In tali situazioni l'acquisizione delle due lingue nei bambini, quindi, sembrerebbe avvenire in modo quasi totalmente separato, per non dire competitivo e interferente e potrebbe risultare estremamente rallentato (spesso si osserva in queste situazioni un periodo caratterizzato dalla mancanza quasi totale di comunicazione verbale, generalmente vissuto con molta ansia da parte del bambino, della famiglia e degli educatori). 

Le principali problematicità dell'apprendimento linguistico nel bambino immigrato riguardano, inoltre:
  • l'omogeneità/disomogenità delle due lingue: tanto più la L2 avrà caratteristiche simili alla lingua principale, tanto più facile per il bambino sarà l'apprendimento della seconda lingua;
  • le caratteristiche proprie delle due lingue, tenendo conto della distinzione tra lingue trasparenti, come l'italiano, in cui c'è una corrispondenza precisa tra fonema/grafema, che pertanto richiede una competenza metafonologica precisa, appresa precocemente già a partire dalla famiglia dai bambini madrelingua. I bambini stranieri, al contrario, incontrano importanti difficoltà già a partire da questo compito linguistico, soprattutto se la L1 è una lingua opaca, ovvero in mancanza di una coincidenza precisa e stabile tra grafema/fonema (uno stesso grafema avrà un corrispettivo fonetico differente a seconda del contesto testuale in cui è inserito);
  • la bassa profiency anche nella L1, dato che i contesti di apprendimento ed uso della lingua sono estremamente limitati e spesso circoscritti al solo contesto della famiglia nucleare, in mancanza, quindi, di occasioni che permettano di ampliare il vocabolario o di contesti di apprendimento strutturati e in cui il bambino può essere corretto.

Uno studio condotto da Pàez e colleghi (2007), infine, dimostra che il bilinguismo sommato alla condizione di migrante può rappresentare un ulteriore fattore di rischio, in quanto i bambini bilingui analizzati avevano prestazioni nei compiti linguistici analizzati di circa 2 d.s. inferiori a quello dei monolingui.

Tutto questo significa che non si può fare diagnosi di DSL nei bambini stranieri?

Ovviamente no! Una diagnosi di DSL è possibile anche nei bambini non madrelingua italiani, anche se in questi casi la diagnosi differenziale deve essere ancora più precisa ed accurata, che dovrà tener conto, tra le altre cose, dell'età e del tempo di esposizione alla L2.

Bibliografia
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  • Il bambino bilingue. Approfondimenti teorico-scientifici per una nuova presa in carico diagnostico-terapeutica. Convegno organizzato da A.O. "G. Salvini", Garbagnate Milanese.

                                                                                                             di dott.ssa Maria Luisa Abbinante

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Disturbi specifici del linguaggio nei bambini stranieri: una diagnosi possibile? diMaria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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SOS Batterie esaurite! La donna multitasking tra famiglia, lavoro e cura dei genitori anziani

19/5/2013

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  Il tema dell'assistenza all'anziano non più autosufficiente oggi è un tema di forte preoccupazione per il sistema socio sanitario perchè il numero di anziani sta progressivamente aumentando. Si stima che nel 2020 la maggioranza della popolazione italiana avrà un'età compresa tra i 45/60 anni e nel 2050 il numero di anziani supererà nettamente i giovani.

Ma perchè oggi è così pressante il tema dell'assistenza all'anziano?

50 anni fa l'anziano era il centro della famiglia e la sua cura era affidata alla famiglia allargata; l'assistenza all'anziano in difficoltà era un vero e proprio “fatto sociale”, a cui partecipavano tutti (coniugi, fratelli, cugini, figli, nipoti, ecc...) con una abbondanza di risorse che permetteva di assolvere al compito di cura più agevolmente, anche se l'anziano non era più autosufficiente.
Oggi la situazione potremmo dire che si è completamente ribaltata: i nuclei familiari non hanno più relazioni così strette e il numero dei membri si è ridotto, con un aumento delle famiglie composte solo da un genitore. L'assistenza all'anziano in difficoltà si è trasformata da “fatto sociale” a “fatto privato” a carico dei singoli nuclei familiari e non più della famiglia allargata.

Un'indagine CENSIS del 2006 che ha coinvolto 401 familiari di anziani malati di AD rivela che:
_ 80% di chi si prende cura direttamente del malato è donna (moglie o figlia);
_ ha età è tra i 46 e 60 anni;
_ si occupa dell'anziano in media per 6 ore al giorno se facciamo riferimento solo all'assistenza diretta, cui si aggiungono in media 7 ore per la sorveglianza......... con un totale di 13 ore al giorno!!!!!! Questo dato va evidenziato dato che si stima che 36 ore settimanali sarebbe il limite che permette di distinguere un COMPITO DI CURA SOSTENIBILE da uno che determina effetti avversi per il caregiver!

Il CAREGIVER TIPO, nel 50% dei casi, è la moglie del malato, 60 anni in media, è coinvolta a tempo pieno, ha problemi di salute ed è psicologicamente provata.
Non si contano, però, neanche le cosiddette FIGLIE MULTIRUOLO, che non convivono con l'ammalato, con una propria famiglia, lavoro e sovraccariche di responsabilità....... con inevitabili effetti negativi su piano fisico, psicologico e di relazioni sociali.

La perdita di autonomia della persona anziana rende necessaria un’assistenza continua ed è proprio il carattere di continuità che va a collidere con la gestione degli altri ruoli di vita che il caregiver deve sostenere: il ruolo genitoriale e/o coniugale e il ruolo lavorativo sono quelli che più di tutti risentono del peso dell’assistenza (il 55% degli intervistati ha dichiarato di avere meno tempo da dedicare agli altri familiari e il 13% ha dovuto sospendere l’attività lavorativa, temporaneamente o definitivamente, per potersi dedicare alle cure della persona malata) con un maggiore rischio di fratture familiari.
Oggi, poi, si diventa genitori più tardi rispetto al passato ed ecco che il momento dell'assistenza ai genitori anziani viene a sovrapporsi con il compito di genitori, magari genitori di un'adolescente, con un carico ulteriore.

Cos'è il BURDEN?

Il BURDEN è la responsabilità percepita, in senso sia di tempo che di sforzo, di una persona che si deve occupare di un'altra. Il burden del caregiver è correlato con la comparsa di sintomi di tipo ansioso depressivo, che permarrebbero a distanza di 12 mesi dalla fine del compito di assistenza.

Quando si parla di burden, quindi, si fa riferimento ad un costrutto multi-dimensionale che include diversi fattori di stress per il caregiver:
_ stress causato dalla riduzione del tempo dedicato a se stessi (time dependent burden);
_ stress causato dal senso di fallimento delle proprie speranze ed aspettative. Qui ci si riferisce alla sensazione del caregiver di essere tagliato fuori dalle opportunità, esperienze e stile di vita dei soggetti della propria generazione (developmental burden);
_ stress fisico (physical burden): gli alti livelli di richiesta sia fisica che emotiva legati al caregiving ha degli effetti negativi sulla salute fisica del caregiver familiare tanto che alcuni studi mostrano l'aumento del rischio di problemi di salute quali ipertensione (40%), diabete (18%), ansia e depressione (14%), asma (11%), problemi circolatori (8%), ecc... I caregiver, inoltre, metterebbero in atto minori comportamenti di promozione della salute e di prevenzione!
_ stress causato dal conflitto di ruolo fra il proprio lavoro e la famiglia (social burden);
_ imbarazzo o vergogna causati dal paziente (emotional burden).

Le cause o fattori che facilitano la comparsa di questa sindrome da esaurimento psico-fisico possono essere sia fattori legati al caregiver che fattori legati all'anziano.
Fattori legati al caregiver sono:
_ età, che influenza il rischio di sviluppare burden (aumenta all'aumentare dell'età) e la fonte di stress prevalente (i giovani hanno un burden legato alla sensazione di essere tagliato fuori dalle opportunità della vita ed intrappolato nel compito di cura; gli anziani hanno un burden più di tipo fisico, che probabilmente va ad aggravare le patologie preesistenti e legate invecchiamento;
_ status socio economico (al crescere della disponibilità economica diminuisce il burden percepito);
_ ore dedicate all'attività di cura;
_ numero di compiti richiesti e coinvolgimento nelle IADL (es. cura della casa, ecc...);
_ sentimento di essere preparati ad assumere il ruolo di caregiver (in questo interviene la valutazione in confronto ai propri pari del momento personale di crescita in cui stanno entrando). Fin dai primi momenti della malattia del proprio caro, i caregiver sperimentano che la propria vita sta deviando lungo una linea di sviluppo da loro non prevista e questo è il fattore principale di burden. Il fatto che i caregiver di anziani MCI sperimentano burden come i caregiver dei AD, pur non essendo presenti gli stessi livelli di deterioramento, conferma che ciò che ha un impatto forte è il riconoscimento dell'aumento delle responsabilità per se e il bisogno di assistenza.

Un discorso a parte va fatto relativamente al sesso, poiché, come abbiamo visto, circa l'80% dei caregiver è donna. Da un confronto tra burden percepito dalle donne e burden percepito dagli uomini emerge che le donne hanno livelli di burden maggiori rispetto agli uomini caregiver, anche quando gli uomini assistono a pazienti anziani malati di ad più gravi, tanto che il genere maschile sembra essere fattore protettivo nel caregiving di AD. Probabilmente ciò può essere attribuito alle diverse strategie di coping utilizzate dai due sessi per affrontare il caregiving: l'uomo utilizza strategie di coping centrate sul compito, mentre le donne strategie di coping centrate sull'emozione. Di fronte ad una difficoltà nell'assistenza, l'uomo valuterà la situazione come un compito da risolvere, considerando eventuali vantaggi/svantaggi e soluzioni alternative, mentre le donne faranno un maggior uso di strategie poco adattive come la negazione.
In generale i maschi caregiver hanno più effetti negativi sul benessere fisico (es. disturbi cardio-vascolari), mentre le donne caregiver hanno più effetti negativi psicologici (es, depressione e solitudine).
Il burden è determinato anche da fattori più legati all'anziano malato. Nel caregiving ad anziani AD è la severità dei sintomi comportamentali ad avere un impatto maggiore, piuttosto che la perdita di autonomie legata alle cadute cognitive.

Fattori di rischio per lo sviluppo di burden sono:
_ isolamento sociale (la mancanza di supporto sociale appare essere una delle principali fonte di stress che si aggiunge al carico della cura);
_ solitudine (il poter condividere con altri la cura è un fattore di protezione per il burden);
_ scarsa capacità di richiedere aiuto. Sebbene il bisogno di sostegno sia elevatissimo, quasi mai si traduce in una richiesta concreta di intervento (bisogno inespresso dei caregivers). Da una ricerca emerge che se circa l’80% dei caregivers è consapevole di aver bisogno di consigli su come assistere il proprio congiunto, di sentirsi preoccupato, impotente di fronte alla malattia e di pensare sempre a come si evolverà la situazione, meno della metà (35%) dichiara di voler interagire con un esperto (medico/psicologo) e solo il 18% vorrebbe informazioni per usufruire di sostegno psicologico per sé; inoltre, il 30% ha dichiarato che il rapporto con i medici è un’ulteriore fonte di stress, pur desiderando avere più informazioni e una miglior qualità di assistenza da parte del personale medico;
_ scarso senso di auto efficacia. Il senso di auto efficacia per la gestione dei sintomi è, infatti, correlato con bassi libelli di burden e porta il caregiver a meglio gestire tutte le problematiche portate dall'anziano, anche al loro peggiorare progressivo.

CONSIGLI PER IL CAREGIVER

Imparare a delegare una parte del compito di cura. Individuare un' altra persona (un familiare, un operatore, un amico di famiglia, ecc...) che possa fungere da punto di riferimento per l'anziano, quando il caregiver principale non è presente, può rivelarsi molto utile al fine di permettere la creazione di uno spazio fisico e mentale per rigenerarsi dal carico della cura. È importante che quando dei familiari finalmente si concedono un momento, una serata, i confini di questo spazio siano tutelati.

Imparare a mettere dei confini.
Stiamo parlando di confini mentali e materiali. Spesso l'anziano non è consapevole degli effetti che le continue richieste di assistenza e cura hanno sui suoi cari, chiedendo una presenza oltre le loro possibilità. È importante, per questo, imparare a dire di no e non assecondare le richieste improprie. Quando a fine giornata il familiare ha fatto tutto quello che era in suo potere fare per promuovere il benessere dell'anziano parente, non gli è più utile continuare a pensare a quello che ha fatto o che farà l'indomani, anzi gli è di gran danno, perché renderà più difficile la conquista di un sonno ristoratore, non gli permetterà di dedicarsi a se stesso, alla sua coppia, alla sua famiglia.

Coltivare il proprio benessere:
Prendendosi del tempo libero,
per evadere dalla situazione troppo pesante e per riposare;
Frequentando gli amici, per avere conforto e sostegno;
Evitando l’isolamento e frequentando gruppi di incontro con altre famiglie;
Cercando aiuto e supporto psicologico,
uno spazio di rigenerazione personale.

Bibliografia
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www.wfmh.org/PDF/Caring%20for%20the%20Caregiver%2011_04_09%20FINAL%20(3).pdf
Yang, X., Hao, Y., George, S., M., & Wang, L. (2012). Factors associated with health-related quality of life among Chinese caregivers of the older adults living in the community: a cross-sectional study. Health and Quality of Life Outcomes, 10:143

                                                                                                                                                                 di dott.ssa Maria Luisa Abbinante


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SOS Batterie esaurite! La donna multitasking tra famiglia, lavoro e cura dei genitori anziani. by dott.ssa Maria Luisa Abbinante is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
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Maggio di Informazione Psicologica 6 - M.I.P.

26/4/2013

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Anche lo Studio di Psicologia Eufonia aderirà alle iniziative promosse nell'ambito del "MIP 6 -Maggio di Informazione Psicologica" attraverso 2 iniziative pubbliche:

_ "SOS Batterie esaurite! La donna multitasking tra lavoro, famiglia, cura dei genitori anziani."
Le statistiche demografiche mondiali segnalano il progressivo invecchiamento della popolazione, con un ulteriore incremento del numero di anziani nel prossimo decennio. L'aumento del numero di anziani è un tema di grande rilevanza sociale a causa degli importanti oneri assistenziali a carico delle famiglie.
Le ricerche evidenziano che il carico assistenziale e di cura del familiare anziano coinvolga prima di tutto le madri e le figlie.
Se in passato lo scarso coinvolgimento della donna in attività lavorative fuori dal contesto domestico rendeva il compito di cura ed assistenza più semplice da gestire, oggi il maggiore coinvolgimento fuori dalle mura domestiche rende tale compito un carico di difficile gestione. In breve tempo la donna arriva ad essere esausta, irritabile con un forte rischio di burden, ansia e depressione.
Ma cosa si intende per burden? Come si manifesta? Cosa fare?
L'iniziativa si terrà il 17 Maggio 2013 dalle ore 17.00 alle ore 18.30 presso lo Spazio 6 Centro in via Savona 99, Milano.
                                                                                                             


_ "Invecchiare con la testa! La vita dai 60 in su."
La società di oggi ci propone immagini spaventanti dell'età senile, rappresentata come territorio oscuro, di decadimento e di malattia. Ma è davvero così?
Persone illustri come Rita Levi Montalcini dimostrano come si può invecchiare rimanendo al massimo della propria forma intellettuale e cognitiva.
Ma quali sono i trucchi di un invecchiamento DOC?
L'iniziativa si terrà il 25 Maggio 2013 dalle ore 10.00 alle ore 11.30 presso lo Studio di Consultazione e Psicoterapia in L.go Settimio Severo 2, Milano.
Si può prenotare la partecipazione al seminario entro il 22/05 al numero 3938509837 o all'indirizzo mail [email protected]

Nell'ambito dell'iniziativa sarà possibile prenotare un primo colloquio gratuito. 
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                                                                                                                                                                 di dott.ssa Maria Luisa Abbinante
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Convenzione Polizia di Stato e loro familiari

20/10/2012

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Dal mese di Ottobre 2012, lo Studio di Psicologia Eufonia aderisce al Protocollo d'Intesa con Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Per tutti i dipendenti della Polizia di Stato - in servizio ed in congedo - e i loro familiari il primo incontro sarà gratuito ed i successivi avranno una tariffa agevolata.

protocollo_dintesa_ministero_dellinterno_-_sezione_pubblica_sicurezza.pdf
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Convenzione militari Guardia di Finanza e loro familiari

20/6/2012

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Dal mese di Giugno 2012 lo Studio di Psicologia Eufonia aderisce al protocollo d'Intesa stipulato tra l'Ordine Nazionale degli Psicologi e la Guardia di Finanza.
Per i militari del corpo della Guardia di Finanza e per i familiari più prossimi (coniuge, figli, convivente) il primo colloquio di consultazione è gratuito e per i successivi colloqui sarà applicata una tariffa agevolata.

protocollo_intesa_guardia_di_finanza.pdf
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Il malato di demenza e i suoi familiari

16/6/2012

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Le statistiche demografiche mondiali segnalano il progressivo invecchiamento della popolazione, con un ulteriore incremento del numero di anziani nel prossimo decennio. Questo aumento della popolazione anziana sarà accompagnato da un incremento di patologie neurodegenerative, le demenze, per le quali si stima un raddoppiamento delle diagnosi nello stesso decennio, con importanti oneri assistenziali a carico delle famiglie.
Una recente indagine ISTAT in collaborazione con l'Università “La Sapienza” mostra come il fatto che la famiglia riceva aiuti di tipo formale (servizi privati di assistenza al malato anziano, assistenza domiciliare sanitaria e non sanitaria) non allevia l’impatto negativo della presenza di un familiare malato di demenza sulla salute dei suoi membri. La letteratura scientifica gerontologica, inoltre, suggerisce che il mantenimento del malato di demenza in famiglia è la strategia migliore per contenere il ritmo del decadimento e i costi assistenziali, e che intervenendo nelle fasi iniziali della patologia dementigena sia con il trattamento farmacologico sia con una specifica stimolazione cognitiva, si può rallentare il processo di deterioramento cognitivo, mantenendo più a lungo le autonomie funzionali.

Bibliografia
- Atti workshop “Generazioni che si formano e si incrociano: scelte di vita nel difficile contesto italiano”, Roma 15/16 Settembre 2011 (http://www.istat.it/it/files/2011/08/abstract-evento-15-16-ettembre.pdf).
-MajaniG., De Isabella G., (2008), Caregivers: quale aiuto a chi aiuta? Giornale italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Supplemento di Psicologia Applicata alla Medicina del Lavoro e della Riabilitazione , XXX, 3.
                                                                                                                                                                 di dott.ssa Maria Luisa Abbinante

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    dott.ssa Abbinante
    È Psicologa Consulente presso l'UONPIA (Unità Operativa di NeuroPsichiatria dell'Infanza e dell'Adolescenza) della ASST Rhodense di Garbagnate Milanese nell'ambito del Programma Innovativo Regionale “Procedura Operativa dell'emergenza/urgenza psichiatrica in adolescenza”, dove si occupa di diagnosi e trattamento di disturbi psicopatologici con esordio in adolescenza.
    Si occupa di valutazione e trattamento di esordi psicopatologici nell'infanzia e nell'adolescenza, di interventi di supporto della genitorialità, di sostegno psicologico a persone con malattia cronica e di prevenzione ed intervento precoce nella fragilità dell'anziano.

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