
In realtà parlare di DSL o DSA nei bambini immigrati è alquanto pericoloso, per il rischio di scambiare per DSL o DSA, ovvero per disturbi con una forte matrice neurocognitiva, una difficoltà che è legata all'apprendimento della seconda lingua, l'italiano. Questi bambini sono, infatti, a tutti gli effetti dei bambini bilingui, con tutte le problematiche che la letteratura associa all'apprendimento di una seconda lingua in termini fonologici, lessicali, morfosintattici e pragmatici.
È possibile distinguere diverse tipologie di bilinguismo:
- bilinguismo simultaneo – si realizza una esposizione parallela alle due lingue entro i 2-3 anni;
- bilinguismo successivo – il bambino viene esposto dapprima ad una lingua, che diremo L1 e solo in un secondo momento, tra i 3-8 anni, sarà esposto alla L2;
- bilinguismo tardivo – quando l'esposizione alla L2 avviene dopo gli 8-10 anni;
I bambini immigrati, sia di prima che di seconda generazione, difficilmente si ritrovano in una condizione di bilinguismo simultaneo. Nella maggior parte dei casi, infatti, questi bambini hanno un accesso alla L2, l'italiano, a carattere intermittente ed episodico sino all'ingresso alla scuola materna, che diventa il contesto di principale socializzazione alla lingua e agli usi e costumi della cultura italiana. In molti casi si assiste, da questo momento in poi, ad uso settoriale delle due lingue: a casa la prima lingua, L1, a scuola l'italiano, L2.
Tale condizione, inevitabilmente, determina delle difficoltà e problematicità, che potrebbero essere erroneamente riconosciute dagli operatori scolastici come DSL o DSA.
Si sono moltiplicati negli anni numerosi studi che hanno avuto come oggetto l'apprendimento delle lingue in bambini bilingui immigrati.
Le teorie a riguardo sono abbastanza contrastanti:
- in alcuni casi si afferma che l'esposizione precoce alla lingua del paese ospitante è un vantaggio per il bambino, che potrà trasferire le competenze acquisite con la L1 anche nella L2;
- in altri casi si affermano le cosiddette teorie del bilinguismo sottrativo, che sostengono l'ipotesi di un apprendimento competitivo della L1 ed L2: la L2, in altre parole, l'apprendimento della L2 sottrarrebbe risorse deputate all'apprendimento della lingua madre, con effetti negativi su entrambe le lingue, quali lessico povero e povera profiency/competenza linguistica. In tali situazioni l'acquisizione delle due lingue nei bambini, quindi, sembrerebbe avvenire in modo quasi totalmente separato, per non dire competitivo e interferente e potrebbe risultare estremamente rallentato (spesso si osserva in queste situazioni un periodo caratterizzato dalla mancanza quasi totale di comunicazione verbale, generalmente vissuto con molta ansia da parte del bambino, della famiglia e degli educatori).
Le principali problematicità dell'apprendimento linguistico nel bambino immigrato riguardano, inoltre:
- l'omogeneità/disomogenità delle due lingue: tanto più la L2 avrà caratteristiche simili alla lingua principale, tanto più facile per il bambino sarà l'apprendimento della seconda lingua;
- le caratteristiche proprie delle due lingue, tenendo conto della distinzione tra lingue trasparenti, come l'italiano, in cui c'è una corrispondenza precisa tra fonema/grafema, che pertanto richiede una competenza metafonologica precisa, appresa precocemente già a partire dalla famiglia dai bambini madrelingua. I bambini stranieri, al contrario, incontrano importanti difficoltà già a partire da questo compito linguistico, soprattutto se la L1 è una lingua opaca, ovvero in mancanza di una coincidenza precisa e stabile tra grafema/fonema (uno stesso grafema avrà un corrispettivo fonetico differente a seconda del contesto testuale in cui è inserito);
- la bassa profiency anche nella L1, dato che i contesti di apprendimento ed uso della lingua sono estremamente limitati e spesso circoscritti al solo contesto della famiglia nucleare, in mancanza, quindi, di occasioni che permettano di ampliare il vocabolario o di contesti di apprendimento strutturati e in cui il bambino può essere corretto.
Uno studio condotto da Pàez e colleghi (2007), infine, dimostra che il bilinguismo sommato alla condizione di migrante può rappresentare un ulteriore fattore di rischio, in quanto i bambini bilingui analizzati avevano prestazioni nei compiti linguistici analizzati di circa 2 d.s. inferiori a quello dei monolingui.
Tutto questo significa che non si può fare diagnosi di DSL nei bambini stranieri?
Ovviamente no! Una diagnosi di DSL è possibile anche nei bambini non madrelingua italiani, anche se in questi casi la diagnosi differenziale deve essere ancora più precisa ed accurata, che dovrà tener conto, tra le altre cose, dell'età e del tempo di esposizione alla L2.
Bibliografia
- Beltrame, R. (2011). Acquisizione della lingua italiana e integrazione sociale in bambini in età prescolare figli di immigrati: fattori di promozione vs ostacolo. Tesi di dottorato.
- Marineddu, M, Duca, V., Cornoldi, C. (2006). Difficoltà di apprendimento scolastico negli alunni stranieri. Difficoltà di apprendimento, 12:1:49-70.
- Il bambino bilingue. Approfondimenti teorico-scientifici per una nuova presa in carico diagnostico-terapeutica. Convegno organizzato da A.O. "G. Salvini", Garbagnate Milanese.
di dott.ssa Maria Luisa Abbinante

Disturbi specifici del linguaggio nei bambini stranieri: una diagnosi possibile? diMaria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.