DOTT.SSA MARIA LUISA ABBINANTE PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA
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DOTT.SSA MARIA LUISA ABBINANTE
PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA

Emergenza Covid-19. Consigli di benessere psicologico durante la quarantena.

23/3/2020

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 Siamo ormai giunti alla fine della seconda settimana di quarantena, dopo il DPCM del 7 Marzo u.s. e successivi, che prima consigliavano caldamente e poi disponevano, con sanzioni penali in caso di infrazione, l’isolamento di ciascuno nella propria abitazione, a fine di evitare l’ulteriore diffusione del virus covid-19.

Ma quali sono gli effetti della quarantena sul benessere psicologico dell’individuo?
È indubbia la necessità di tale misura restrittiva della libertà di ognuno, in un momento tragico della storia dell’umanità; pertanto il primo assunto deve essere quello di seguire quanto le Autorità Competenti ci dicono di fare (#iorestoacasa).
Come ciascuno di noi ha sperimentato nelle scorse settimane, però, tale isolamento diventa sempre più faticoso da sopportare.
Una recente review pubblicata su Lacet (Brooks & co., 2020) si concentra proprio sulle conseguenze e i rischi psicologici della misura di quarantena.
La separazione dalle persone più care, la perdita della libertà personale, l’incertezza sul proprio stato di salute o di malattia e la noia possono avere degli effetti severi sulla psiche degli individui. Studi epidemiologici su soggetti sottoposti a misure di quarantena evidenziano, infatti, la prevalenza di sintomi post traumatici, depressione, stress, irritabilità, ansia, insonnia, rabbia e esaurimento emotivo, con un permanere di un disagio psicologico anche per mesi e/o anni dalla fine della quarantena. Anche dopo settimane o ad un anno dalla fine del periodo di quarantena, ad esempio, le persone continuavano a presentare comportamenti evitamento di luoghi o persone e comportamenti di controllo quali l’attento lavaggio delle mani. Molte persone riferivano, inoltre, la difficoltà a ritornare ad una “normalità” per molto tempo dopo la fine della quarantena.
Ciò che sembra avere un maggiore impatto sul distress psicologico, oltre ai fattori personali già citati, sono: prima di tutto, la durata della quarantena, che, quindi, deve essere protratta solo per il tempo effettivamente necessario e non deve essere prolungata oltre; la paura di essere infettati ha un ruolo considerevole nel generare stress soggettivo; la frustrazione e la noia, legati alla riduzione o alla sospensione delle attività giornaliere in cui ciascuno era impegnato; il timore di non avere abbastanza provviste o possibilità di approvvigionamento; infine, la confusione legata alle informazioni inadeguate ricevute. Riguardo a quest’ultimo punto, sembra utile dare alla popolazione sottoposta a quarantena delle linee guida chiare sulle azioni da mettere in atto, la natura del virus e la possibile durata della quarantena, evitando il più possibile messaggi ambivalenti o passibili di interpretazione.
Fattori predittivi di un peggiore impatto negativo della quarantena risultano la giovane età (16-24 anni), la minore scolarizzazione, il sesso femminile e l'avere un solo figlio (avere tre o più figli è risultato fattore protettivo). In tal senso non tutti gli studi sono, però, concordi.
Altri fattori di rischio sono il possedere una storia personale di sintomi psichiatrici o essere impiegato nel settore delle professioni sanitarie. In particolare, i sanitari sarebbero maggiormente esposti al rischio di sviluppare sintomi post traumatici, rabbia, fastidio, paura, frustrazione, senso di colpa, impotenza, isolamento, solitudine, nervosismo, tristezza, preoccupazione oltre ad essere maggiore oggetto di stigmatizzazione in caso essi stessi siano stati sottoposti a misure di isolamento. La stigmatizzazione è risultato uno dei fattori di rischio maggiori sia durante la quarantena e che nel post quarantena: diversi lavoro scientifici mostrano, infatti, che i sanitari sottoposti a periodo di quarantena erano frequentemente oggetto di stigma o rifiuto sociale, ad esempio erano evitati attivamente, perdevano possibilità di coinvolgimento in iniziative sociali, erano trattati con paura e sospetto o con commenti critici.

Quali fattori, dunque, possono avere un effetto virtuoso nel mitigare gli effetti di distress psicologico della quarantena?
Abbiamo già citato l’importanza del dare delle informazioni chiare circa i comportamenti da attuare e da evitare, oltrechè sulla natura del rischio infettivo o sulla necessità di prevedere adeguate forme di approvvigionamento. ​
Risulta efficace, inoltre dare delle informazioni pratiche sulla gestione del tempo e sulla gestione dello stress, per ostacolare le eventuali emozioni di angoscia alimentate dalla noia e dall’isolamento. In tal senso, è utile attivare una rete sociale personale, che ha un effetto di riduzione delle emozioni di ansia e angoscia, oltre che di rassicurazione riguardo al proprio e altrui stato. La possibilità di accedere, tuttavia, anche ad una rete di esperti risulta importante nel ridurre le emozioni negative e nella gestione dell’eventuale comparsa di sintomi, che potrebbero essere male interpretati o per predisporre celeri interventi nel caso emergano sintomi tipici del virus. Infine, risulta molto positiva l’influenza di comportamenti prosociali e di altruismo, ovvero di aiuto alle perone più fragili, nel ridurre lo stress da quarantena.

​Cosa fare, dunque, per affrontare la quarantena?
L'Ordine Nazionale Psicologi suggerisce piccoli accorgimenti da attuare nella quotidianità, per contenere le emozioni di ansia e preoccupazione e mantenere un approccio realista rispetto agli avvenimenti.
Tre buone pratiche per affrontare il coronavirus
  1. Evitare la ricerca compulsiva di informazioni, che rischiano di avere un effetto di aumento dell'ansia e della preoccupazione. Bisogna tener conto che le informazioni che i media diffondono in rapida successione creano uno stato di “allarme psicologico permanente”, che provoca una aumentata percezione dei rischi, che spinge ad una ulteriore ricerca ossessiva di informazioni più rassicuranti. Di fatto, però, i media sono orientati all'aumentare l'attenzione verso il problema e propongono prevalentemente informazioni allarmanti. Si crea, così, un circolo vizioso in cui le paure e ansie personali sono continumente alimentate e spingono alla ricerca di ulteriori informazioni.
  2. Usare e diffondere fonti informative affidabili. E’ bene attenersi a quanto conosciuto e documentabile. Quindi: basarsi SOLO su fonti informative ufficiali, aggiornate e accreditate (Ministero della Salute: www.salute.gov.it/nuovocoronavirus e Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus)
  3. Un fenomeno collettivo e non personale. Il Coronavirus non è un fenomeno che ci riguarda individualmente. Ci dobbiamo proteggere come collettività responsabile, usando le regole suggerite dall'Istituto Superiore di Sanità. L'uso regolare di queste buone pratiche riduce significativamente il rischio di contagio per sé, per chi ci è vicino e per la collettività tutta.

Buone pratiche
L’Istituto Superiore di Sanità indica semplici azioni di prevenzione individuale.
Eccole qui riassunte:
  • Evita il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute.
  • Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione.
  • Bisogna lavarsi le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 20 secondi, fino ai polsi. Se acqua e sapone non sono a portata di mano, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcol con almeno il 60% di alcol.
  • Il virus entra nel corpo attraverso gli occhi, il naso e la bocca, quindi evita di toccarli con le mani non lavate.
  • Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci; usa fazzoletti monouso.
  • Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate.
  • Non prendere farmaci antivirali né antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico.
  • Contatta il numero verde 1500 se sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni e hai febbre o tosse.
  • Se stai male e hai sintomi compatibili con il Coronavirus, contatta telefonicamente il tuo medico di base o il 118, senza recarti direttamente in ambulatorio o in Pronto Soccorso (per ridurre eventuali rischi di contagio a terzi o al personale sanitario).
  • Rispetta rigorosamente solo i provvedimenti e indicazioni ufficiali delle Autorità di Sanità Pubblica: sono una tutela preziosa per te e per tutti.

L’uso regolare di queste azioni elementari riduce significativamente i rischi di contagio per sé, chi ci è vicino e la collettività tutta.

Se, nonostante questi accorgimenti, l'ansia e la preoccupazione diventano eccessive, Non ti vergognare di chiedere aiuto.
Tutti possiamo avere necessità, in certi momenti o situazioni, di un confronto, una consulenza, un sostegno, anche solo per avere le idee più chiare su ciò che proviamo e gestire meglio le nostre emozioni, e questo non ci deve far sentire “deboli”.
La comunità degli psicologi si è organizzata per consulenze a distanza per offrire il giusto supporto a chi ne ha bisogno.

Bibliografia
- Brooks, S., K., Webster, R., K., Smith, L., E., Wooland, L., Wessely, S., Greenberg, N., et al. (2020). The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. Published: February 26, 2020 DOI:https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)30460-8
​- CNOP (2020). VADEMECUM PSICOLOGICO CORONAVIRUS PER I CITTADINI. Perché le paure possono diventare panico e come proteggersi con comportamenti adeguati, con pensieri corretti e emozioni fondate. Consultabile su: https://www.psy.it/vademecum-psicologico-coronavirus-per-i-cittadini-perche-le-paure-possono-diventare-panico-e-come-proteggersi-con-comportamenti-adeguati-con-pensieri-corretti-e-emozioni-fondate


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Emergenza Covid-19. Quali effetti della quarantena sul benessere psicologico? didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

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Stati mentali a rischio e prodromi psicotici.

3/3/2018

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Negli ultimi decenni la letteratura psichiatrica si è concentrata sullo studio dei fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi mentali gravi come le psicosi.
Il modello eziopatogenetico più accreditato è il cosiddetto modello vulnerabilità-stress, che sostiene che l'insorgenza e decorso di una psicosi sia determinato da una vulnerabilità soggettiva unita all'impatto di stress ambientali, che possono scatenare sintomi psicotici attivi. Le principali determinanti di questa vulnerabilità sembrano essere biologici (genetici e legati allo sviluppo neurologico) e la sua espressione come disturbo franco è influenzato da entrambi i trigger, psicosociali e  fisici (ad esempio abuso di sostanze).
Il concetto di stati mentali a rischio rimanda alla cosiddetta fase prodromica della psicosi, ovvero una fase in cui non sono ancora presenti sintomi psicotici tout court, ma il soggetto incomincia a presentare delle alterazioni emotive, cognitive e del comportamento peculiari, che gli studi longitudinali hanno mostrato essere presenti nel circa 40% dei soggetti diagnosticati come esordio psicotico (vedi gli studi di Young e Mc Gorry e la letteratura psichiatrica recente di stampo anglofono).
È importante precisare che gli stati mentali a rischio e i prodromi indicano una aumentata vulnerabilità allo sviluppo di un disturbo psicotico e/o un disturbo psichiatrico maggiore.
Young e Mc Gorry definiscono stati mentali a rischio quel set di sintomi che la letteratura mostra essere caratteristico della fase di transizione (la cosiddetta fase prodromica) verso l'esordio psicotico. Tali sintomi comprendono: sintomi psicotici attenuati, ovvero sintomi di stampo psicotico (umore delirante, idee di riferimento, esperienze percettive insolite) con intatto esame di realtà, quindi ben criticati dal soggetto, ma di intensità e/o frequenza insufficiente; sintomi psicotici brevi e intermittenti, ovvero sintomi francamente psicotici ma con rapida remissione spontanea. 
Tra gli stati mentali a rischio vanno annoverati anche i soggetti che presentano dei sintomi del tutto aspecifici (anche banalmente sintomi di ansia), ma che presentano anche un importante deterioramento del funzionamento psico-sociale e una familiarità positiva per psicosi.
Gli stati mentali a rischio rientrano nel quadro più generale dei sintomi prodromici, che sono un eterogeneo gruppo di comportamenti correlati con una franca psicosi, ovvero:
  • cambiamenti nelle emozioni (ansia, irritabilità, depressione, sospettosità, irritabilità, rabbia, sensazione di tensione);
  • cambiamenti a livello cognitivo (difficoltà di concentrazione o nella memoria, idee bizzarre, vaghezza, cambiamenti nei contenuti di pensiero, come preoccupazioni legate a nuovi pensieri di natura inusuale)
  • cambiamenti nella percezione di sé, degli altri e del mondo;
  • cambiamenti fisici e percettivi (disturbi del sonno, cambiamenti dell'appetito, disturbi somatici, perdita di energia e motivazione, alterazioni percettive).
Oltre a questo set sintomatologico peculiare, la fase prodromica è caratterizzata da un progressivo deterioramento del funzionamento psico-sociale del soggetto (progressivo ritiro sociale, scarsa motivazione e apatia, perdita dell'interesse nella socializzazione, diminuzione della partecipazione sociale e familiare, peggioramento dei risultati scolastici e lavorativi, ...). Tale deterioramento è parte integrante della fase prodromica e rientra nella valutazione dello stato mentale a rischio.

Cosa avviene durante la fase prodromica?
La fase prodromica è caratterizzata da una percezione di fortissimo stress interno o esterno, che il soggetto non riesce a spiegare o di cui non riesce ben a riconoscere la causa (fase di irritazione). C'è la comparsa dei cosiddetti sintomi di base: disturbi dell'attenzione/concentrazione; disturbi della forma del pensiero – che si blocca, è accellerato, confuso, vuoto; disturbi della comprensione – es. mancata comprensione delle metafore e comprensione letterale; disturbi della memoria; funzionamento emotivo ridotto; alterazione dell'affettività, ovvero espressione facciale, contatto oculare, eloquio e affettività inappropriata. Il soggetto percepisce, in questa fase, una atmosfera nuova e inconsueta a cui non riesce a dare un senso e un significato. Tale percezione si intensifica progressivamnte con un effetto dirompente sull'assetto psicologico fino a quel momento. Ecco che il soggetto ricerca una nuova spiegazione e una nuova cornice di significato per cercare di dare senso alle esperienze inconsuete.
Tale spiegazione è cercata all'esterno, ovvero c'è una proiezione all'esterno della causa dei cambiamenti esperenziali (fase di esternalizzazione). Le percezioni, le azioni e le sensazioni corporee strane ed insolite vengono esperite “come se” fossero dei “fatti dall’esterno” e i pensieri uditi “come se” fossero vocalizzati da voci esterne (esperienze di passività di Schneider: idee di influenzamento somatico; senso di azioni imposte; furto ed influenzamento del pensiero). Il contenuto del pensiero diviene insolito, l'umore delirante, il paziente appare perplesso rispetto alle proprie esperienze e compaiono idee di riferimento e idee non bizzare. Compaiono, quindi, i primi sintomi positivi, caratteristici della schizofrenia, sebbene in maniera più sfumata e incompleta.
Il mantenersi nel tempo di tali esperienze porta ad una maggiore strutturazione della sintomatologia psicotica (fase di concretizzazione). Se nella fase precedente il paziente era ancora critico e perplesso dalle spiegazione “come se” delle sue esperienze, ora c'è una concretizzazione della spiegazione insolita dell'esperienza, non più passibile di critica.

Individuare per intervenire precocemente
L'obiettivo della precoce individuazione di stati di vulnerabilità, ovvero di stati mentali a rischio, è di predisporre degli interventi tempestivi.
Tali interventi possono avere come target sia i soggetti in fase prodromica o che presentano uno stato mentale a rischio sia soggetti con esordio psicotico vero e proprio.
Quando si parla di intervento precoce, il primo obiettivo è quello di ridurre la DUP (Duration of Untreated Psychosis), ovvero il periodo che intercorre tra l’esordio dei primi sintomi di natura psicotica e il primo trattamento terapeutico, che in media è di 6/18 mesi. Minore DUP, infatti, si correla a:
  • riduzione della morbilità;
  • un più rapido processo di guarigione;
  • prevenzione delle ricadute;
  • preservazione delle abilità sociali;
  • conservazione dei rapporti familiari e sociali;
  • minore necessità di ospedalizzazione.
Ridurre la DUP significa decrementare la severità del primo episodio psicotico, oltrechè minimizzare le complicanze che potrebbero derivare dalla psicosi non trattata. Numerosi studi mostrano, infatti, che il ritardo nel trattamento rende la psicosi biologicamente radicata, nel senso che una DUP più lunga è legata a tassi più lenti di recovery e minori livelli di recovery, maggiori tassi di recidiva e bassi livelli di funzionamento sociale e lavorativo, indipendentemente dalla presenza di altri fattori prognostici. Al contrario, la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo porta a un migliore recupero.

Si può guarire dalla psicosi?
La maggior parte dei giovani che vivono il loro primo episodio psicotico fa un recupero completo, anche se una minoranza significativa (circa il 10-20%) svilupperà sintomi persistenti.
La traiettoria di recovery è abbastanza variabile. Una volta che il trattamento viene istituito, alcune persone miglioreranno lentamente, ma inesorabilmente, mentre altri passeranno attraverso un periodo di apparente mancanza di progressi e per poi fare sbalzi di benessere. 
Una volta raggiunta una recovery, l'obiettivo sarà il mantenimento e la promozione del benessere per evitare delle ricadute, Ogni ricaduta è un rischio potenziale per lo sviluppo di una compromissione e disabilità duratura e contribuisce allo sviluppo di una resistenza al trattamento. 

Bibliografia

Besozzi, M., Comai, A., Garbazza, C., Provenzani, U., Boso, M. (2012). Diagnosi precoce e intervento tempestivo nei disturbi psicotici. Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia 125(1):29-36.
Edwards, J., McGorry, P., D. (2004).  Intervento precoce nelle psicosi. Guida per l'organizzazione di servizi efficaci e tempestivi. Centro scientifico Editore, Italia.
Philips LJ, Yung A, Mc Gorry PD et al. (2005). Mapping the onset of psychosis: the Comprehensive Assessment of At-Risk Mental States. Aust N Zeal J Psychiatry; 39:964-971.

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Penso che sia stress...

6/1/2016

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Finite le tanto desiderate vacanze e ripreso il solito tran tran quotidiano, è alto il rischio di ritornare in fretta nell'occhio del ciclone dei mille impegni familiari e professionali, con un innalzamento dei livelli di stress che rischia di vanificare in breve tempo gli effetti positivi del maggiore riposo delle vacanze.

Cosa è lo stress? Come fare per non rimanere di nuovo sue vittime?
Lo stress è una risposta non specifica dell'organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso. Qualunque richiesta, anche la più banale, causa uno stress perchè richiede all'organismo di modificarsi ed adattarsi alla nuova condizione (sindrome di adattamento).
Di fronte ad uno stimolo stressante (stressor), il soggetto cercherà una forma di adattamento: valuterà l’evento che deve essere affrontato, cercando una strategia per farvi fronte. Se, nel breve termine, sarà capace di reagire alle pressioni cui è sottoposto, recuperando la condizione di equilibrio iniziale, le pressioni possono essere considerate positive: si parla di eustress o stress positivo. Se, al contrario, le condizioni sfavorevoli supereranno le capacità e le risorse del soggetto oppure saranno prolungate nel tempo, l’individuo diventerà incapace di reagire e offrirà risposte poco adattive: questo viene definito distress o stress negativo. Il distress è associato ad un vissuto di minaccia e può essere causato da una mancanza/carenza di risorse per far fronte al problema oppure da uno stress che dura a lungo nel tempo (stress cronico).
Contrariamente a quello che si può comunemente pensare, la totale mancanza di stress è negativa, poiché è associata ad una situazione di letargia, apatia, mancanza di entusiasmo, noia. In una situazione di benessere, infatti, l'individuo deve avere una minima fonte di sollecitazione, di eustress, che lo stimola. La presenza di stress positivo, di eustress, è associata ad una condizione di successo, positività, energia.

Come faccio a distinguere uno stress positivo ed uno stress negativo?
La percezione dello stress è fortemente soggettiva ed è mediata sia dalle caratteristiche dello stressor, che dalle caratteristiche e risorse del soggetto.
Tanto più la fonte di stress è intensa o prolungata nel tempo, tanto più questa causerà un disagio nelle persone.
Due persone nella stessa situazione, invece, avranno una capacità di fronteggiare lo stress completamente differente, che dipenderà dalle caratteristiche personali, che porteranno ciascuno a privilegiare un tipo di risposta piuttosto che altre, in base a ciò che sa fare meglio o alle proprie esperienze personali.
Un ruolo importante è, inoltre, svolto dagli gli apprendimenti, che determinano la possibilità di riproporre strategie che si sono già rivelate efficaci in passato.

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Ma che cosa è l'adattamento? In che cosa consiste?
Ogni volta che uno stressor perturba l'equilibrio, l'organismo cerca di ritrovare l'omeostasi, ovvero l'equilibrio perduto, attraverso reazioni fisiche, mentali, neurofisiologiche. Le possibili risposte allo stress possono essere:
  • resistenza: lo stress è tempestivamente fronteggiato con le proprie risorse, che, in breve tempo, neutralizzano gli effetti negativi dello stressor. Non ci sono ripercussioni e si ritorna alla situazione di benessere precedente.
  • resilienza: lo stress è fronteggiato con una reazione temporaneamente disfunzionale, fino a che l'individuo non individua una strategia che porta ad un nuovo adattamento. In questo caso lo stress rompe l'equilibrio precedente, ma l'individuo riesce a trovare una nuova forma di equilibrio e benessere, seppur diversamente da quanto era presente prima dell'azione dello stressor.
  • vulnerabilità: le risorse non sono sufficientemente “robuste, ridondanti e rapide” per superare lo stress, che causa una disfunzione persistente.
In una situazione di stress, quindi, l'obiettivo che l'individuo e l'organismo perseguirà, sarà la ricerca di un adattamento alla situazione.
L'adattamento è un'attività complessa e consiste nella messa in atto di azioni finalizzate alla gestione o soluzione dei problemi, alla luce della risposta soggettiva suscitata dagli eventi fonte di stress.
Le azioni volte ad accrescere l'adattamento potranno essere rivolte sia al soggetto, che modificherà qualcosa nel suo funzionamento attuale per consentire il raggiungimento di un nuovo equilibrio, sia all'ambiente, che sarà modificato o riorganizzato alla luce delle nuove esigenze.
Si parla di sindrome generale di adattamento proprio per indicare la risposta del soggetto ad una situazione di stress. Tale sindrome si articola in tre fasi:
  1. Allarme: l'organismo risponde agli stressors mettendo in atto meccanismi di fronteggiamento (coping) sia fisici che mentali, come l'aumento del battito cardiaco, della pressione sanguigna, del tono muscolare e del livello di arousal (attivazione psicofisiologica) per garantire una capacità di reazione più efficace.
  2. Resistenza: il corpo tenta di combattere e contrastare gli effetti negativi della situazione stressante, producendo risposte ormonali specifiche, nel tentativo di recuperare il benessere.
  3. Esaurimento: se gli stressors continuano ad agire, il soggetto può venire sopraffatto e possono prodursi effetti sfavorevoli permanenti a carico della struttura psichica e/o somatica (ansia, depressione, disturbi gastrointestinali, disturbi del sonno, disturbi sessuali, ...).

Suggerimenti per migliorare la capacità di far fronte allo stress al lavoro
  • Prenditi mezzo minuto di silenzio prima di incominciare la giornata lavorativa
  • Prima di incomiciare un compito impegnativo porta l'attenzione ai successivi 5 respiri
  • Resta in contatto con il mondo esterno durante la giornata (es. manda un messaggio al tuo partner o alla tuo/a amico/a)
  • Prendi una pausa a metà mattina e a metà pomeriggio
  • Premiati dopo un compito complesso o faticoso (es. un cioccolatino, un massaggio, una seduta dal parrucchiere, ...).
  • Instaura un rituale di chiusura a fine giornata (es. ascoltare la musica preferita, ...)
  • Usa il senso dell'umorismo

di dott.ssa Maria Luisa Abbinante
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L'irritabilità grave nel bambino

29/5/2015

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Pubblicato da Studio di Psicologia Eufonia su GuidaPsicologi.it all'indirizzo web http://www.guidapsicologi.it/articoli/lirritabilita-grave-nel-bambino.
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L'irritabilità è una eccessiva risposta agli stimoli. Il bambino irritabile è un bambino che fatica ad accettare frustrazioni, anche minime, mettendo in campo reazioni che vanno dai capricci, piagnucolii, a veri e propri scoppi di collera e aggressività contro gli oggetti e le persone.

In alcuni casi, l'irritabilità del bambino può essere legata ad uno stile educativo genitoriale particolarmente indulgente, che non gli permette di confrontarsi con la possibilità di posticipare nel tempo la gratificazione dei propri desideri, con il risultato che il bambino non sarà capace di aspettare e tollerare minime frustrazioni delle proprie richieste.
In altri casi, l'irritabilità infantile cronica può segnalare la presenza di un problema più importante.

L'irritabilità nei bambini è stata particolarmente studiata negli ultimi anni, con lo scopo di meglio comprenderne la fenomenologia e comprendere quando diventa il segnale di qualcosa che non va nella vita e nella salute del bambino.
Le ricerche epidemiologiche evidenziano un incremento delle diagnosi di disturbo bipolare BP tra i bambini e gli adolescenti americani negli ultimi 15 anni. 
Secondo alcuni ricercatori la ragione di questo aumento della diagnosi è la considerazione dell'irritabilità grave e cronica come manifestazione tipica del BP nei bambini e negli adolescenti. In età evolutiva l'irritabilità cronica sarebbe, infatti, l'equivalente della mania.
L'irritabilità, che va dall'essere semplicemente noiosi/fastidiosi e permalosi, all'essere rabbiosi con scoppi di collera, è comune nei disturbi mentali (prevalenza tra il 3% e il 20%); essa è considerata una vera e propria manifestazione di disregolazione del tono dell'umore.

La SMD è una condizione caratterizzata da:
  • un umore di base abnorme – es. irritabilità, rabbia e/o tristezza, riportata dagli altri e presente per la maggior parte del tempo;
  • almeno 3 segni di iperarousal – insonnia, irrequietezza motoria, distraibilità, fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente, maggiore loquacità del solito, oppure spinta continua a parlare;
  • aumentata reattività a stimoli emotivi negativi - esplosioni di collera che si manifestano per almeno 3 volte a settimana;
  • compromissione significativa in almeno 2 ambiti - sociale, lavorativo, scolastico.

Questi sintomi incominciano prima dei 12 anni per almeno un anno, non ci sono periodi senza sintomi superiori ai 2 mesi. (Leibenluft et al., 2003; trad. it. mia)

Il National Institute of Mental Health (2001) ha proposto che la SMD sia una manifestazione evolutiva precoce della mania, identificando il cosiddetto "broad phenotype" del disturbo bipolare in età evolutiva.

Quindi il bambino con irritabilità cronica è un bambino bipolare?

Studi longitudinali si sono occupati di meglio comprendere la natura e l'evoluzione nel tempo della SMD.
Brotman et al. (2006) ha ripreso il concetto di Severe Mood Dysregolation (SMD), sottolineando la forte comorbidità con il disturbo della condotta e, più in generale, con i disturbi da comportamento dirompente - il 67% circa dei soggetti SMD avevano anche un'altra diagnosi in asse I, di cui il 26% ADHD, il 25% disturbo della condotta, il 24% disturbo oppositivo provocatorio – segnalando la necessità di un'accurata diagnosi differenziale tra i disturbi dell'umore e i disturbi del comportamento.
Tale studio ha evidenziato, inoltre, che il 20% circa dei soggetti SMD rispettavano i criteri anche per disturbo d'ansia e/o disturbi depressivi, sottolineando l'influenza dell'umore sulle manifestazioni comportamentali. In questo studio longitudinale, Broatman mostra, però, che al follow-up i soggetti SMD avevano maggiore probabilità di mostrare un disturbo depressivo e non di tipo bipolare.
Risultati simili sono stati replicati anche in altri studi (Mikita & Stringaris, 2013; Axelson et al., 2012; Leibenluft et al, 2003, 2006), avvalorando la tesi secondo la quale la disregolazione del tono dell'umore in età evolutiva, che assume le forme di irritabilità e scoppi di collera, in realtà, sia una condizione che permette di predire l'insorgere in età adulta di un disturbo dell'umore di natura depressiva e non bipolare e, quindi, deve rientrare a pieno diritto tra i criteri diagnostici della depressione in età evolutiva.
Il recente DSM 5 (APA, 2013) ha risolto in parte la diatriba trai sostenitori dell'irritabilità come precursore della mania e i sostenitori del sintomo come manifestazione tipica del disturbo depressivo in età evolutiva, introducendo una nuova diagnosi, il Disturbo da disregolazione dell'umore dirompente (DMDD), che è stato inserito nel capitolo dedicato ai disturbi depressivi e in cui centrale è la valutazione dell'irritabilità infantile.

Cosa vuol dire tutto questo?

La nuova diagnosi DSM 5, sicuramente, evidenzia la necessità di valutare più attentamente l'umore, prima di porre una diagnosi di disturbo del comportamento (nelle sue varie forme), considerando la forma di intervento terapeutico più appropriata.

Visto il sovrapporsi della sintomatologia, un interrogativo rimane rispetto alla diagnosi differenziale con il disturbo bipolare con esordio nell'infanzia e adolescenza, al fine di un intervento precoce.

Consigli per i genitori

In tutti i casi sopracitati, anche nelle situazioni in cui si deve valutare la presenza di un disturbo psichiatrico precoce, l'irritabilità rimane sempre espressione di una difficoltà del bambino a comprendere quanto sta accadendo attorno a lui, il Mondo che vive e la possibilità di non vedere immediatamente realizzati i propri desideri.

Lo stile educativo è lo strumento che ciascun genitore ha a sua disposizione per aiutare il bambino, insegnandogli la possibilità di autoregolazione delle proprie emozioni e permettendogli di superare l'illusione di onnipotenza.

Secondo gli esperti lo stile educativo autorevole è, senza dubbio, l'approccio educativo più coerente e capace di promuovere tale capacità di autoregolazione. Il genitore autorevole richiede rispetto e stabilisce regole e tempi per soddisfare ciascun desiderio e volontà del bambino, ne riconosce i bisogni e sollecita la sua opinione. Il genitore autorevole riesce a stabilire un rapporto affettuoso con i propri figli, riconosce e valorizza la loro personalità, li educa ad essere autonomi e li incoraggia ad assumersi le proprie responsabilità e a rispettare gli accordi.


Bibliografia

  • American Psychiatric Association (2000). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition (DSM-IV). Washington, D.C.: APA.
  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition(DSM-5). Washington, D.C.: APA.
  • Axelson, D., Findling, R., F., Fristad, M., A., Kowatch, R., A., Youngstrom, E., A., McCue Horwitz, S., Arnold, L., E., Frazier, T., W., Ryan, N., Demeter, C., Gill, M., K., HauserHarrington, J.-C., Depew, J., Kennedy, S., M., Gron, B., A.,Rowles, B., M., & Birmaher, B. (2012). Examining the Proposed Disruptive Mood Dysregulation Disorder Diagnosis in Children in the Longitudinal Assessment of Manic Symptoms Study. J Clin Psychiatry; 73(10): 1342–1350.
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De Senectute. Programma di intervento psicologico per l'anziano fragile e di promozione dell'invecchiamento attivo.

22/9/2013

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Dal mese di Febbraio 2013 Auser ha attivato un servizio psico-sociale sperimentale dedicato alle persone anziane residenti nel corsichese (Assago, Corsico, Buccinasco, Cesano Boscone, Trezzano sul Naviglio, Cusago), grazie al finanziamento ricevuto dalla Fondazione Banca del Monte Lombardia.

Di cosa si tratta?
Mission del servizio, che si propone come un intervento di prevenzione primaria e secondaria, è l'individuazione precoce del disagio emotivo e psicologico nell'anziano e la promozione di uno stile di vita attivo e partecipativo, al fine di migliorare la qualità della vita della persona anziana e preservare e mantenere più a lungo nel tempo la sua autonomia e l'indipendenza.
A tal fine il servizio offre:
  • uno spazio di ascolto e sostegno psicologico per le persone anziane che ne faranno richiesta, al fine di aiutarle a superare situazioni emotivamente difficili. Attraverso un numero prestabilito di incontri, gli psicologi aiuteranno l'anziano ad affrontare le problematiche connesse al disagio emotivo presentato, al fine di permettere il recupero di una condizione di benessere. Gli anziani che accederanno al servizio saranno, inoltre, sottoposti ad un breve screening neuropsicologico al fine di rilevare segni di deterioramento cognitivo patologico ed eventualmente invitati a recarsi dal proprio medico per ulteriori approfondimenti.
  • attività laboratoriali e di aggregazione al fine di contrastare l'isolamento sociale progressivo e creare una rete di mutuo sostegno di anziani per gli anziani.

Chi si può rivolgere?
Le persone anziane che nella loro vita quotidiana sperimentano difficoltà quali tristezza, solitudine, isolamento, scarsa voglia di intraprendere attività o di vedere persone, difficoltà di memoria e concentrazione.

Come?
Chiamando il numero 02/36708609 o recandoti presso la sede Auser di Corsico in via Falcone 5 potrai chiedere maggiori informazioni sul servizio e un primo appuntamento con lo psicologo.

con la collaborazione della dott.ssa Maria Luisa Abbinante
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SOS Batterie esaurite! La donna multitasking tra famiglia, lavoro e cura dei genitori anziani

19/5/2013

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  Il tema dell'assistenza all'anziano non più autosufficiente oggi è un tema di forte preoccupazione per il sistema socio sanitario perchè il numero di anziani sta progressivamente aumentando. Si stima che nel 2020 la maggioranza della popolazione italiana avrà un'età compresa tra i 45/60 anni e nel 2050 il numero di anziani supererà nettamente i giovani.

Ma perchè oggi è così pressante il tema dell'assistenza all'anziano?

50 anni fa l'anziano era il centro della famiglia e la sua cura era affidata alla famiglia allargata; l'assistenza all'anziano in difficoltà era un vero e proprio “fatto sociale”, a cui partecipavano tutti (coniugi, fratelli, cugini, figli, nipoti, ecc...) con una abbondanza di risorse che permetteva di assolvere al compito di cura più agevolmente, anche se l'anziano non era più autosufficiente.
Oggi la situazione potremmo dire che si è completamente ribaltata: i nuclei familiari non hanno più relazioni così strette e il numero dei membri si è ridotto, con un aumento delle famiglie composte solo da un genitore. L'assistenza all'anziano in difficoltà si è trasformata da “fatto sociale” a “fatto privato” a carico dei singoli nuclei familiari e non più della famiglia allargata.

Un'indagine CENSIS del 2006 che ha coinvolto 401 familiari di anziani malati di AD rivela che:
_ 80% di chi si prende cura direttamente del malato è donna (moglie o figlia);
_ ha età è tra i 46 e 60 anni;
_ si occupa dell'anziano in media per 6 ore al giorno se facciamo riferimento solo all'assistenza diretta, cui si aggiungono in media 7 ore per la sorveglianza......... con un totale di 13 ore al giorno!!!!!! Questo dato va evidenziato dato che si stima che 36 ore settimanali sarebbe il limite che permette di distinguere un COMPITO DI CURA SOSTENIBILE da uno che determina effetti avversi per il caregiver!

Il CAREGIVER TIPO, nel 50% dei casi, è la moglie del malato, 60 anni in media, è coinvolta a tempo pieno, ha problemi di salute ed è psicologicamente provata.
Non si contano, però, neanche le cosiddette FIGLIE MULTIRUOLO, che non convivono con l'ammalato, con una propria famiglia, lavoro e sovraccariche di responsabilità....... con inevitabili effetti negativi su piano fisico, psicologico e di relazioni sociali.

La perdita di autonomia della persona anziana rende necessaria un’assistenza continua ed è proprio il carattere di continuità che va a collidere con la gestione degli altri ruoli di vita che il caregiver deve sostenere: il ruolo genitoriale e/o coniugale e il ruolo lavorativo sono quelli che più di tutti risentono del peso dell’assistenza (il 55% degli intervistati ha dichiarato di avere meno tempo da dedicare agli altri familiari e il 13% ha dovuto sospendere l’attività lavorativa, temporaneamente o definitivamente, per potersi dedicare alle cure della persona malata) con un maggiore rischio di fratture familiari.
Oggi, poi, si diventa genitori più tardi rispetto al passato ed ecco che il momento dell'assistenza ai genitori anziani viene a sovrapporsi con il compito di genitori, magari genitori di un'adolescente, con un carico ulteriore.

Cos'è il BURDEN?

Il BURDEN è la responsabilità percepita, in senso sia di tempo che di sforzo, di una persona che si deve occupare di un'altra. Il burden del caregiver è correlato con la comparsa di sintomi di tipo ansioso depressivo, che permarrebbero a distanza di 12 mesi dalla fine del compito di assistenza.

Quando si parla di burden, quindi, si fa riferimento ad un costrutto multi-dimensionale che include diversi fattori di stress per il caregiver:
_ stress causato dalla riduzione del tempo dedicato a se stessi (time dependent burden);
_ stress causato dal senso di fallimento delle proprie speranze ed aspettative. Qui ci si riferisce alla sensazione del caregiver di essere tagliato fuori dalle opportunità, esperienze e stile di vita dei soggetti della propria generazione (developmental burden);
_ stress fisico (physical burden): gli alti livelli di richiesta sia fisica che emotiva legati al caregiving ha degli effetti negativi sulla salute fisica del caregiver familiare tanto che alcuni studi mostrano l'aumento del rischio di problemi di salute quali ipertensione (40%), diabete (18%), ansia e depressione (14%), asma (11%), problemi circolatori (8%), ecc... I caregiver, inoltre, metterebbero in atto minori comportamenti di promozione della salute e di prevenzione!
_ stress causato dal conflitto di ruolo fra il proprio lavoro e la famiglia (social burden);
_ imbarazzo o vergogna causati dal paziente (emotional burden).

Le cause o fattori che facilitano la comparsa di questa sindrome da esaurimento psico-fisico possono essere sia fattori legati al caregiver che fattori legati all'anziano.
Fattori legati al caregiver sono:
_ età, che influenza il rischio di sviluppare burden (aumenta all'aumentare dell'età) e la fonte di stress prevalente (i giovani hanno un burden legato alla sensazione di essere tagliato fuori dalle opportunità della vita ed intrappolato nel compito di cura; gli anziani hanno un burden più di tipo fisico, che probabilmente va ad aggravare le patologie preesistenti e legate invecchiamento;
_ status socio economico (al crescere della disponibilità economica diminuisce il burden percepito);
_ ore dedicate all'attività di cura;
_ numero di compiti richiesti e coinvolgimento nelle IADL (es. cura della casa, ecc...);
_ sentimento di essere preparati ad assumere il ruolo di caregiver (in questo interviene la valutazione in confronto ai propri pari del momento personale di crescita in cui stanno entrando). Fin dai primi momenti della malattia del proprio caro, i caregiver sperimentano che la propria vita sta deviando lungo una linea di sviluppo da loro non prevista e questo è il fattore principale di burden. Il fatto che i caregiver di anziani MCI sperimentano burden come i caregiver dei AD, pur non essendo presenti gli stessi livelli di deterioramento, conferma che ciò che ha un impatto forte è il riconoscimento dell'aumento delle responsabilità per se e il bisogno di assistenza.

Un discorso a parte va fatto relativamente al sesso, poiché, come abbiamo visto, circa l'80% dei caregiver è donna. Da un confronto tra burden percepito dalle donne e burden percepito dagli uomini emerge che le donne hanno livelli di burden maggiori rispetto agli uomini caregiver, anche quando gli uomini assistono a pazienti anziani malati di ad più gravi, tanto che il genere maschile sembra essere fattore protettivo nel caregiving di AD. Probabilmente ciò può essere attribuito alle diverse strategie di coping utilizzate dai due sessi per affrontare il caregiving: l'uomo utilizza strategie di coping centrate sul compito, mentre le donne strategie di coping centrate sull'emozione. Di fronte ad una difficoltà nell'assistenza, l'uomo valuterà la situazione come un compito da risolvere, considerando eventuali vantaggi/svantaggi e soluzioni alternative, mentre le donne faranno un maggior uso di strategie poco adattive come la negazione.
In generale i maschi caregiver hanno più effetti negativi sul benessere fisico (es. disturbi cardio-vascolari), mentre le donne caregiver hanno più effetti negativi psicologici (es, depressione e solitudine).
Il burden è determinato anche da fattori più legati all'anziano malato. Nel caregiving ad anziani AD è la severità dei sintomi comportamentali ad avere un impatto maggiore, piuttosto che la perdita di autonomie legata alle cadute cognitive.

Fattori di rischio per lo sviluppo di burden sono:
_ isolamento sociale (la mancanza di supporto sociale appare essere una delle principali fonte di stress che si aggiunge al carico della cura);
_ solitudine (il poter condividere con altri la cura è un fattore di protezione per il burden);
_ scarsa capacità di richiedere aiuto. Sebbene il bisogno di sostegno sia elevatissimo, quasi mai si traduce in una richiesta concreta di intervento (bisogno inespresso dei caregivers). Da una ricerca emerge che se circa l’80% dei caregivers è consapevole di aver bisogno di consigli su come assistere il proprio congiunto, di sentirsi preoccupato, impotente di fronte alla malattia e di pensare sempre a come si evolverà la situazione, meno della metà (35%) dichiara di voler interagire con un esperto (medico/psicologo) e solo il 18% vorrebbe informazioni per usufruire di sostegno psicologico per sé; inoltre, il 30% ha dichiarato che il rapporto con i medici è un’ulteriore fonte di stress, pur desiderando avere più informazioni e una miglior qualità di assistenza da parte del personale medico;
_ scarso senso di auto efficacia. Il senso di auto efficacia per la gestione dei sintomi è, infatti, correlato con bassi libelli di burden e porta il caregiver a meglio gestire tutte le problematiche portate dall'anziano, anche al loro peggiorare progressivo.

CONSIGLI PER IL CAREGIVER

Imparare a delegare una parte del compito di cura. Individuare un' altra persona (un familiare, un operatore, un amico di famiglia, ecc...) che possa fungere da punto di riferimento per l'anziano, quando il caregiver principale non è presente, può rivelarsi molto utile al fine di permettere la creazione di uno spazio fisico e mentale per rigenerarsi dal carico della cura. È importante che quando dei familiari finalmente si concedono un momento, una serata, i confini di questo spazio siano tutelati.

Imparare a mettere dei confini.
Stiamo parlando di confini mentali e materiali. Spesso l'anziano non è consapevole degli effetti che le continue richieste di assistenza e cura hanno sui suoi cari, chiedendo una presenza oltre le loro possibilità. È importante, per questo, imparare a dire di no e non assecondare le richieste improprie. Quando a fine giornata il familiare ha fatto tutto quello che era in suo potere fare per promuovere il benessere dell'anziano parente, non gli è più utile continuare a pensare a quello che ha fatto o che farà l'indomani, anzi gli è di gran danno, perché renderà più difficile la conquista di un sonno ristoratore, non gli permetterà di dedicarsi a se stesso, alla sua coppia, alla sua famiglia.

Coltivare il proprio benessere:
Prendendosi del tempo libero,
per evadere dalla situazione troppo pesante e per riposare;
Frequentando gli amici, per avere conforto e sostegno;
Evitando l’isolamento e frequentando gruppi di incontro con altre famiglie;
Cercando aiuto e supporto psicologico,
uno spazio di rigenerazione personale.

Bibliografia
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                                                                                                                                                                 di dott.ssa Maria Luisa Abbinante


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Maggio di Informazione Psicologica 6 - M.I.P.

26/4/2013

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Anche lo Studio di Psicologia Eufonia aderirà alle iniziative promosse nell'ambito del "MIP 6 -Maggio di Informazione Psicologica" attraverso 2 iniziative pubbliche:

_ "SOS Batterie esaurite! La donna multitasking tra lavoro, famiglia, cura dei genitori anziani."
Le statistiche demografiche mondiali segnalano il progressivo invecchiamento della popolazione, con un ulteriore incremento del numero di anziani nel prossimo decennio. L'aumento del numero di anziani è un tema di grande rilevanza sociale a causa degli importanti oneri assistenziali a carico delle famiglie.
Le ricerche evidenziano che il carico assistenziale e di cura del familiare anziano coinvolga prima di tutto le madri e le figlie.
Se in passato lo scarso coinvolgimento della donna in attività lavorative fuori dal contesto domestico rendeva il compito di cura ed assistenza più semplice da gestire, oggi il maggiore coinvolgimento fuori dalle mura domestiche rende tale compito un carico di difficile gestione. In breve tempo la donna arriva ad essere esausta, irritabile con un forte rischio di burden, ansia e depressione.
Ma cosa si intende per burden? Come si manifesta? Cosa fare?
L'iniziativa si terrà il 17 Maggio 2013 dalle ore 17.00 alle ore 18.30 presso lo Spazio 6 Centro in via Savona 99, Milano.
                                                                                                             


_ "Invecchiare con la testa! La vita dai 60 in su."
La società di oggi ci propone immagini spaventanti dell'età senile, rappresentata come territorio oscuro, di decadimento e di malattia. Ma è davvero così?
Persone illustri come Rita Levi Montalcini dimostrano come si può invecchiare rimanendo al massimo della propria forma intellettuale e cognitiva.
Ma quali sono i trucchi di un invecchiamento DOC?
L'iniziativa si terrà il 25 Maggio 2013 dalle ore 10.00 alle ore 11.30 presso lo Studio di Consultazione e Psicoterapia in L.go Settimio Severo 2, Milano.
Si può prenotare la partecipazione al seminario entro il 22/05 al numero 3938509837 o all'indirizzo mail [email protected]

Nell'ambito dell'iniziativa sarà possibile prenotare un primo colloquio gratuito. 
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                                                                                                                                                                 di dott.ssa Maria Luisa Abbinante
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L'anziano fragile

2/12/2012

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La letteratura gerontologica suggerisce che parlare di anziani significa parlare di fragilità, poiché la fragilità è una condizione propria dell'età senile e all'aumentare dell'età aumenta la fragilità.
Il termine fragilità identifica una condizione di rischio e di vulnerabilità, caratterizzata da un equilibrio instabile di fronte a eventi negativi. L’anziano, per motivi legati al processo d’invecchiamento e alle malattie intercorrenti, diviene più vulnerabile e meno capace di conservare una condizione di benessere fisico e psichico in seguito ad eventi stressanti. La letteratura riporta che la fragilità è connessa con peggioramento della salute ed aumento del rischio di ospedalizzazione, istituzionalizzazione, cadute e morte. La presenza di una condizione di fragilità, dunque, espone al rischio di sviluppare una condizione di disabilità nel breve periodo.

Chi è l'anziano fragile?

L'anziano fragile, dunque, è una persona:
– con età superiore ai 65 anni;
– con una condizione di salute instabile - presenza di numerose patologie e assunzione di diversi farmaci, ripetute ospedalizzazioni o ricoveri per patologie acute, dimagrimento involontario;
– con evidente deterioramento di funzioni e strutture fisiche e psicologiche - compromissione della vista, lutto o depressione senile, deterioramento cognitivo o diagnosi di demenza;
– con limitazioni nell'attività fisica - per minore resistenza e affaticamento o per paura di cadere. La caduta è un fattore di rischio importante indicatore di peggioramento della qualità della vita poiché correlata con inizio della dipendenza, perdita di autonomia, disabilità e istituzionalizzazione. Essa, inoltre, provoca spesso ansia di nuova caduta e progressiva chiusura degli spazi di vita dell'anziano.
– progressiva perdita di ruoli sociali e conseguente minore partecipazione sociale e isolamento familiare e sociale;
– presenza di fattori psico-sociali come il basso reddito - lo status socio-economico influirebbe in maniera negativa sulla fragilità, soprattutto in presenza di poli-patologie.

Fragilità e qualità della vita
La fragilità ha un forte impatto negativo sulla qualità della vita percepita dalla persona anziana. La qualità della vita è la percezione che ciascuna persona ha di sé stessa all'interno del proprio contesto di vita rispetto alla possibilità di realizzare i propri progetti ed obbiettivi e di esaudire i propri desideri ed aspettative.
Il peggioramento della qualità della vita è diretta conseguenza della presenza di una condizione di fragilità, con un netto peggioramento dei livelli di autonomia, del benessere psicologico e della partecipazione sociale.
Il peggioramento della qualità della vita, inoltre, permette di prevedere un eventuale ulteriore peggioramento della condizione dell'anziano vista la capacità di moderare gli effetti delle circostanze negative. Il percepire una buona qualità della vita, infatti, permetterebbe di fronteggiare meglio gli stress. L'anziano fragile, dunque, viene colpito due volte dalla fragilità.
Alcuni studi mostrano che il peggioramento della qualità della vita predice cadute ed ammissione a reparti di emergenza e questo è indicativo del fatto che che il ricorso al Pronto Soccorso non sempre è legata alla percezione di un malessere fisico reale, ma piuttosto è legata alla percezione della propria condizione di vulnerabilità. A conferma di quanto appena detto, alcuni studi hanno trovato che la qualità della vita è correlata con numerosi predittori di ammissione a reparti d'urgenza come depressione, scarso supporto sociale, solitudine .
Il peggioramento della qualità della vita, infine, porta ad una progressiva chiusura progettuale dell'anziano che sente di non avere più possibilità da spendere nel quotidiano, non ha più desideri da realizzare … vive solo l'attesa dell'inevitabile.

Perchè è importante parlare di fragilità ed identificarla precocemente?

Prevenire la fragilità non è possibile dato che essa è condizione insita nel processo di invecchiamento.
Parlare di fragilità ed individuarla precocemente significa essere capaci di ridurre al minimo le sue conseguenze avverse, mantenendo più a lungo le autonomie fisiche e funzionali della persona anziana. L'individuazione precoce di indicatori di fragilità permetterà, infatti, la programmazione di interventi individualizzati ad hoc per prevenire gli esiti più avversi - ad es. ospedalizzazioni ripetute, disabilità, morte.

Bibliografia
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.

                                                                         (estratto della relazione del Festival della Cultura Psicologica)
                                                                                                                                                                 di dott.ssa Maria Luisa Abbinante

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Festival della Cultura Psicologica 2012. Il benessere a portata di mente.

22/9/2012

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L'Ordine degli Psicologi Lombardia organizza il Festival della Cultura Psicologica dal 12 al 21 Ottobre, che quest'anno avrà come tema conduttore "La ricerca del benessere".
L'obbiettivo della manifestazione è avvicinare i cittadini alla psicologia e alla competenza dello psicologo, che non è un "incantatore di serpenti,", ma un professionista con una formazione scientifica frutto di numerosi anni di studio e formazione pratica, garantita dall'iscrizione ad un ordine professionale.
Una delle finalità della manifestazione è proprio di dimostrare che lo Psicologo è un'esperto della mente e del comportamento umano, che si occupa di:
- promozione del benessere psicologico, fornendo, al singolo, al gruppo e alle organizzazioni, gli strumenti utili a creare delle condizioni di vita che permettano il rispetto dell'individuo e lo mettano nelle condizioni di esprimere pienamente il proprio potenziale;
- prevenzione del disagio psicologico, intervenendo in situazioni di rischio attraverso azioni ad hoc per evitare che il rischio si traduca in disagio conclamato;
- sostegno e cura del disagio psicologico, con gli strumenti della consulenza psicologica, o delle tecniche psicoterapeutiche messe in atto dagli Psicologi con specializzazione.
Nell'ambito della manifestazione sarà possibile partecipare ai momenti di workshop su tematiche di interesse comune e prenotare un colloquio gratuito con uno psicologo, che ti permetterà di avere un confronto con un esperto su una situazione di malessere personale o di un famigliare e ti orienterà alla strada migliore per risolvere il problema.

La fragilità nell'anziano: la depressione e il deterioramento cognitivo.
Nell'ambito delle sessioni di workshop, , la dott.ssa Abbinante presenterà il tema "La fragilità nell'anziano: la depressione e il deterioramento cognitivo".
Il workshop si terrà il 21 Ottobre alle ore 17.30 presso lo Spazio del Sole e della Luna in via Ulisse Dini 7 - Milano.
r effettuare modifiche.
                                                                                                                                                                 di dott.ssa Maria Luisa Abbinante


Spazio del Sole e della Luna
via Ulisse Dini 7 - Milano.

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Convenzione militari Guardia di Finanza e loro familiari

20/6/2012

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Dal mese di Giugno 2012 lo Studio di Psicologia Eufonia aderisce al protocollo d'Intesa stipulato tra l'Ordine Nazionale degli Psicologi e la Guardia di Finanza.
Per i militari del corpo della Guardia di Finanza e per i familiari più prossimi (coniuge, figli, convivente) il primo colloquio di consultazione è gratuito e per i successivi colloqui sarà applicata una tariffa agevolata.

protocollo_intesa_guardia_di_finanza.pdf
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    dott.ssa Abbinante
    È Psicologa Consulente presso l'UONPIA (Unità Operativa di NeuroPsichiatria dell'Infanza e dell'Adolescenza) della ASST Rhodense di Garbagnate Milanese nell'ambito del Programma Innovativo Regionale “Procedura Operativa dell'emergenza/urgenza psichiatrica in adolescenza”, dove si occupa di diagnosi e trattamento di disturbi psicopatologici con esordio in adolescenza.
    Si occupa di valutazione e trattamento di esordi psicopatologici nell'infanzia e nell'adolescenza, di interventi di supporto della genitorialità, di sostegno psicologico a persone con malattia cronica e di prevenzione ed intervento precoce nella fragilità dell'anziano.

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