DOTT.SSA MARIA LUISA ABBINANTE PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA
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DOTT.SSA MARIA LUISA ABBINANTE
PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA

Emergenza Covid-19. Consigli di benessere psicologico durante la quarantena.

23/3/2020

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 Siamo ormai giunti alla fine della seconda settimana di quarantena, dopo il DPCM del 7 Marzo u.s. e successivi, che prima consigliavano caldamente e poi disponevano, con sanzioni penali in caso di infrazione, l’isolamento di ciascuno nella propria abitazione, a fine di evitare l’ulteriore diffusione del virus covid-19.

Ma quali sono gli effetti della quarantena sul benessere psicologico dell’individuo?
È indubbia la necessità di tale misura restrittiva della libertà di ognuno, in un momento tragico della storia dell’umanità; pertanto il primo assunto deve essere quello di seguire quanto le Autorità Competenti ci dicono di fare (#iorestoacasa).
Come ciascuno di noi ha sperimentato nelle scorse settimane, però, tale isolamento diventa sempre più faticoso da sopportare.
Una recente review pubblicata su Lacet (Brooks & co., 2020) si concentra proprio sulle conseguenze e i rischi psicologici della misura di quarantena.
La separazione dalle persone più care, la perdita della libertà personale, l’incertezza sul proprio stato di salute o di malattia e la noia possono avere degli effetti severi sulla psiche degli individui. Studi epidemiologici su soggetti sottoposti a misure di quarantena evidenziano, infatti, la prevalenza di sintomi post traumatici, depressione, stress, irritabilità, ansia, insonnia, rabbia e esaurimento emotivo, con un permanere di un disagio psicologico anche per mesi e/o anni dalla fine della quarantena. Anche dopo settimane o ad un anno dalla fine del periodo di quarantena, ad esempio, le persone continuavano a presentare comportamenti evitamento di luoghi o persone e comportamenti di controllo quali l’attento lavaggio delle mani. Molte persone riferivano, inoltre, la difficoltà a ritornare ad una “normalità” per molto tempo dopo la fine della quarantena.
Ciò che sembra avere un maggiore impatto sul distress psicologico, oltre ai fattori personali già citati, sono: prima di tutto, la durata della quarantena, che, quindi, deve essere protratta solo per il tempo effettivamente necessario e non deve essere prolungata oltre; la paura di essere infettati ha un ruolo considerevole nel generare stress soggettivo; la frustrazione e la noia, legati alla riduzione o alla sospensione delle attività giornaliere in cui ciascuno era impegnato; il timore di non avere abbastanza provviste o possibilità di approvvigionamento; infine, la confusione legata alle informazioni inadeguate ricevute. Riguardo a quest’ultimo punto, sembra utile dare alla popolazione sottoposta a quarantena delle linee guida chiare sulle azioni da mettere in atto, la natura del virus e la possibile durata della quarantena, evitando il più possibile messaggi ambivalenti o passibili di interpretazione.
Fattori predittivi di un peggiore impatto negativo della quarantena risultano la giovane età (16-24 anni), la minore scolarizzazione, il sesso femminile e l'avere un solo figlio (avere tre o più figli è risultato fattore protettivo). In tal senso non tutti gli studi sono, però, concordi.
Altri fattori di rischio sono il possedere una storia personale di sintomi psichiatrici o essere impiegato nel settore delle professioni sanitarie. In particolare, i sanitari sarebbero maggiormente esposti al rischio di sviluppare sintomi post traumatici, rabbia, fastidio, paura, frustrazione, senso di colpa, impotenza, isolamento, solitudine, nervosismo, tristezza, preoccupazione oltre ad essere maggiore oggetto di stigmatizzazione in caso essi stessi siano stati sottoposti a misure di isolamento. La stigmatizzazione è risultato uno dei fattori di rischio maggiori sia durante la quarantena e che nel post quarantena: diversi lavoro scientifici mostrano, infatti, che i sanitari sottoposti a periodo di quarantena erano frequentemente oggetto di stigma o rifiuto sociale, ad esempio erano evitati attivamente, perdevano possibilità di coinvolgimento in iniziative sociali, erano trattati con paura e sospetto o con commenti critici.

Quali fattori, dunque, possono avere un effetto virtuoso nel mitigare gli effetti di distress psicologico della quarantena?
Abbiamo già citato l’importanza del dare delle informazioni chiare circa i comportamenti da attuare e da evitare, oltrechè sulla natura del rischio infettivo o sulla necessità di prevedere adeguate forme di approvvigionamento. ​
Risulta efficace, inoltre dare delle informazioni pratiche sulla gestione del tempo e sulla gestione dello stress, per ostacolare le eventuali emozioni di angoscia alimentate dalla noia e dall’isolamento. In tal senso, è utile attivare una rete sociale personale, che ha un effetto di riduzione delle emozioni di ansia e angoscia, oltre che di rassicurazione riguardo al proprio e altrui stato. La possibilità di accedere, tuttavia, anche ad una rete di esperti risulta importante nel ridurre le emozioni negative e nella gestione dell’eventuale comparsa di sintomi, che potrebbero essere male interpretati o per predisporre celeri interventi nel caso emergano sintomi tipici del virus. Infine, risulta molto positiva l’influenza di comportamenti prosociali e di altruismo, ovvero di aiuto alle perone più fragili, nel ridurre lo stress da quarantena.

​Cosa fare, dunque, per affrontare la quarantena?
L'Ordine Nazionale Psicologi suggerisce piccoli accorgimenti da attuare nella quotidianità, per contenere le emozioni di ansia e preoccupazione e mantenere un approccio realista rispetto agli avvenimenti.
Tre buone pratiche per affrontare il coronavirus
  1. Evitare la ricerca compulsiva di informazioni, che rischiano di avere un effetto di aumento dell'ansia e della preoccupazione. Bisogna tener conto che le informazioni che i media diffondono in rapida successione creano uno stato di “allarme psicologico permanente”, che provoca una aumentata percezione dei rischi, che spinge ad una ulteriore ricerca ossessiva di informazioni più rassicuranti. Di fatto, però, i media sono orientati all'aumentare l'attenzione verso il problema e propongono prevalentemente informazioni allarmanti. Si crea, così, un circolo vizioso in cui le paure e ansie personali sono continumente alimentate e spingono alla ricerca di ulteriori informazioni.
  2. Usare e diffondere fonti informative affidabili. E’ bene attenersi a quanto conosciuto e documentabile. Quindi: basarsi SOLO su fonti informative ufficiali, aggiornate e accreditate (Ministero della Salute: www.salute.gov.it/nuovocoronavirus e Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus)
  3. Un fenomeno collettivo e non personale. Il Coronavirus non è un fenomeno che ci riguarda individualmente. Ci dobbiamo proteggere come collettività responsabile, usando le regole suggerite dall'Istituto Superiore di Sanità. L'uso regolare di queste buone pratiche riduce significativamente il rischio di contagio per sé, per chi ci è vicino e per la collettività tutta.

Buone pratiche
L’Istituto Superiore di Sanità indica semplici azioni di prevenzione individuale.
Eccole qui riassunte:
  • Evita il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute.
  • Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione.
  • Bisogna lavarsi le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 20 secondi, fino ai polsi. Se acqua e sapone non sono a portata di mano, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcol con almeno il 60% di alcol.
  • Il virus entra nel corpo attraverso gli occhi, il naso e la bocca, quindi evita di toccarli con le mani non lavate.
  • Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci; usa fazzoletti monouso.
  • Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate.
  • Non prendere farmaci antivirali né antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico.
  • Contatta il numero verde 1500 se sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni e hai febbre o tosse.
  • Se stai male e hai sintomi compatibili con il Coronavirus, contatta telefonicamente il tuo medico di base o il 118, senza recarti direttamente in ambulatorio o in Pronto Soccorso (per ridurre eventuali rischi di contagio a terzi o al personale sanitario).
  • Rispetta rigorosamente solo i provvedimenti e indicazioni ufficiali delle Autorità di Sanità Pubblica: sono una tutela preziosa per te e per tutti.

L’uso regolare di queste azioni elementari riduce significativamente i rischi di contagio per sé, chi ci è vicino e la collettività tutta.

Se, nonostante questi accorgimenti, l'ansia e la preoccupazione diventano eccessive, Non ti vergognare di chiedere aiuto.
Tutti possiamo avere necessità, in certi momenti o situazioni, di un confronto, una consulenza, un sostegno, anche solo per avere le idee più chiare su ciò che proviamo e gestire meglio le nostre emozioni, e questo non ci deve far sentire “deboli”.
La comunità degli psicologi si è organizzata per consulenze a distanza per offrire il giusto supporto a chi ne ha bisogno.

Bibliografia
- Brooks, S., K., Webster, R., K., Smith, L., E., Wooland, L., Wessely, S., Greenberg, N., et al. (2020). The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. Published: February 26, 2020 DOI:https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)30460-8
​- CNOP (2020). VADEMECUM PSICOLOGICO CORONAVIRUS PER I CITTADINI. Perché le paure possono diventare panico e come proteggersi con comportamenti adeguati, con pensieri corretti e emozioni fondate. Consultabile su: https://www.psy.it/vademecum-psicologico-coronavirus-per-i-cittadini-perche-le-paure-possono-diventare-panico-e-come-proteggersi-con-comportamenti-adeguati-con-pensieri-corretti-e-emozioni-fondate


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Emergenza Covid-19. Quali effetti della quarantena sul benessere psicologico? didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

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Diagnosi di disturbo di personalità secondo il DSM 5

29/4/2019

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Con il DSM 5 è stato introdotto un tentativo di cambiamento nella diagnosi di disturbo di personalità. Con il nuovo manuale è possibile, quindi fare diagnosi di disturbo di personalità in due modi.
Il primo modo è quello proposto nella sezione II, che è rimasta sostanzialmente invariata rispetto al vecchio manuale, con l'individuazione di 10 tipologie di disturbi di personalità divisi in 3 cluster (A=strano ed eccentrico; B=amplificativo ed emotivo; C=timoroso e pauroso). I criteri per identificare un disturbo di personalità sono rimasti per lo più invariati, quindi la diagnosi si basa sulla valutazione della presenza di un pattern di esperienza interiore e comportamento inflessibile e pervasivo, che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e che causa un disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento sociale, affettivo e lavorativo. Per fare diagnosi si valutano 4 aree: cognizione, intesa come i modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti; affettività, cioè, la varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva; funzionamento interpersonale e controllo degli impulsi.
Nella sezione III si propone un modello alternativo di diagnosi dei disturbi di personalità. Tale proposta rientra nel tentativo operato nel nuovo manuale di passare da una diagnosi di tipo categoriale di occorrenza/non occorrenza del sintomo, ad una diagnosi di tipo dimensionale, orientata cioè ad inquadrare il funzionamento dell'individuo lungo un continuum normalità Vs patologia.

La diagnosi di disturbo di personalità proposta è ibrida, combinando la diagnosi dimensionale del criterio A, che valuta il funzionamento, con la diagnosi categoriale del criterio B, che valuta la presenza di tratti patologici (categorie) di personalità dei domini di personalità.
CRITERIO A: livello di compromissione del funzionamento Sé e del funzionamento interpersonali (funzionamento adattivo vs compromissione del funzionamento lieve, moderata, grave e estrema).
Per quanto riguarda i disturbi del Sé, questi vengono valutati sulla base di due elementi:
  • l’identità, ovvero la capacità dell'individuo di percepire se stesso come soggetto con confini ben definiti, con una capacità di fare una valutazione di sé (autostima) accurata e stabile nel tempo e una capacità di regolazione emotiva;
  • l’autodirezionalità, ovvero la capacità di perseguire obiettivi a breve termine, darsi degli scopi di vita coerenti e significativi e degli standard di comportamento costruttivi e prosociali e la capacità di riflettere in modo produttivo su di sé.
Per quanto riguarda il funzionamento interpersonale, invece, è valutato tenendo conto di due dimensioni:
  • l'empatia, ovvero la capacità di comprendere le esperienze e le motivazioni altrui, di tollerare prospettive diverse dalla propria e comprendere gli effetti del proprio comportamento sugli altri;
  • l’intimità, ovvero la profondità e durata delle relazioni positive con gli altri, desiderio e capacità di intimità e rispetto reciproco.​
CRITERIO B: presenza di uno o più tratti patologici della personalità o sfaccettature/aspetti del tratto.
Anche in questo caso i tratti patologici vengono considerati in una prospettiva dimensionale e sono organizzati in domini patologici di personalità:
  • Affettività negativa (Vs Stabilità emotiva), ovvero presenza di esperienze frequenti e intense di alti livelli di emozioni negative (es. depressione, colpa, ansia, vergogna, …) con i comportamenti conseguenti (es. relazioni di dipendenza, evitamento, …).
  • Distacco (Vs Estroversione), ovvero introversione ed evitamento delle esperienze socio-emotive, sia attraverso il ritiro dalle relazioni interpersonali (es. poche amicizie, mancanza di relazioni affettive), sia attraverso il ridotto riconoscimento ed espressione delle emozioni e del piacere.
  • Antagonismo (Vs Disponibilità), ovvero la mancanza di una consapevolezza dei bisogni e sentimenti dell'altro e la tendenza ad usare gli altri per il perseguimento dei propri obiettivi/bisogni (es. esagerato senso di importanza di sé con un aspettativa di trattamento speciale; mancanza di empatia, …).
  • Disinibizione (Vs Coscienziosità), ovvero impulsività, difficoltà a differire nel tempo la gratificazione, comportamenti mediati da stimoli e sentimenti contingenti, senza la capacità di tener conto delle esperienze passate o del futuro.
  • Psicoticismo (Vs Lucidità mentale), ovvero presenza di pensieri e comportamenti non convenzionali, strani, eccentrici, non riconosciuti dalla cultura di appartenenza sia dal punto di vista dei processi (es. percezioni ) che dei contenuti (es. convinzioni personali inusuali).
CRITERIO C.La compromissione è relativamente stabili nel tempo e costanti tra le situazioni.
CRITERIO D. La compromissione non è meglio compresa come normativi per la fase di sviluppo individuale o per l’ambiente socio-culturale.
Oltre a questi criteri, ci sono i criteri per una diagnosi differenziale medica o legata all'uso di sostanze/farmaci che spieghino la compromissione.
La sezione III descrive solo 6 delle 10 tipologie di disturbo di personalità presenti nella sezione II (tra l'altro invariati rispetto al DSM IV-TR), ovvero schizotipico, antisociale, borderline, narcisistico, evitante e ossessivo-compulsivo. Mancano, e non saranno reintegrati il disturbo di personalità schizoide, il paranoide, l'istrionico e il dipendente.

Ai 6 disturbi di personalità, si aggiunge la possibilità di fare una diagnosi TS (Tratto-Specifica). Per tratto di personalità si intende una tendenza a percepire, sentire, comportarsi e pensare in modi relativamente costanti nel tempo e nei contesti.
I disturbi di personalità esclusi (schizoide, il paranoide, l'istrionico e il dipendente) rientrano nelle possibilità di diagnosi di disturbo TS (ad es. il tratto sospettosità del dominio distacco/estroversione esaurisce perfettamente i criteri prima delineati nel disturbo di personalità paranoide).
La diagnosi DP-TS, quindi, si fa quando il funzionamento è compromesso, ma il soggetto non presenta i tratti patologici richiesti per la diagnosi dei 6 DP, ma tratti di personalità patologici misti.

Bibliografia

  • American Psychiatric Association (APA) (2013), DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2014. 
  • Come cambia la diagnosi dei disturbi di personalità alla luce del DSM 5?Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2013/10/diagnosi-disturbipersonalita-dsm5/

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9 Ottobre 2017 iniziativa "Studi aperti": vieni a conoscere la psicologa!

28/8/2017

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Il 10 Ottobre 2017 si celebrerà per il secondo anno consecutivo la "Giornata Nazionale della Psicologia".
Lunedì 9 Ottobre 2018, nell'ambito di tali celebrazioni, la dott.ssa Maria Luisa Abbinante, psicologa-psicoterapeuta, sarà a disposizione delle persone che si prenoteranno per rispondere a domande relative ai servizi offerti, tipologie di intervento, percorsi, tempi e costi.
Prenota la tua visita attraverso il form che troverai in fondo alla pagina e non dimenticare di lasciare il tuo numero di cellulare!
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Penso che sia stress...

6/1/2016

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Finite le tanto desiderate vacanze e ripreso il solito tran tran quotidiano, è alto il rischio di ritornare in fretta nell'occhio del ciclone dei mille impegni familiari e professionali, con un innalzamento dei livelli di stress che rischia di vanificare in breve tempo gli effetti positivi del maggiore riposo delle vacanze.

Cosa è lo stress? Come fare per non rimanere di nuovo sue vittime?
Lo stress è una risposta non specifica dell'organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso. Qualunque richiesta, anche la più banale, causa uno stress perchè richiede all'organismo di modificarsi ed adattarsi alla nuova condizione (sindrome di adattamento).
Di fronte ad uno stimolo stressante (stressor), il soggetto cercherà una forma di adattamento: valuterà l’evento che deve essere affrontato, cercando una strategia per farvi fronte. Se, nel breve termine, sarà capace di reagire alle pressioni cui è sottoposto, recuperando la condizione di equilibrio iniziale, le pressioni possono essere considerate positive: si parla di eustress o stress positivo. Se, al contrario, le condizioni sfavorevoli supereranno le capacità e le risorse del soggetto oppure saranno prolungate nel tempo, l’individuo diventerà incapace di reagire e offrirà risposte poco adattive: questo viene definito distress o stress negativo. Il distress è associato ad un vissuto di minaccia e può essere causato da una mancanza/carenza di risorse per far fronte al problema oppure da uno stress che dura a lungo nel tempo (stress cronico).
Contrariamente a quello che si può comunemente pensare, la totale mancanza di stress è negativa, poiché è associata ad una situazione di letargia, apatia, mancanza di entusiasmo, noia. In una situazione di benessere, infatti, l'individuo deve avere una minima fonte di sollecitazione, di eustress, che lo stimola. La presenza di stress positivo, di eustress, è associata ad una condizione di successo, positività, energia.

Come faccio a distinguere uno stress positivo ed uno stress negativo?
La percezione dello stress è fortemente soggettiva ed è mediata sia dalle caratteristiche dello stressor, che dalle caratteristiche e risorse del soggetto.
Tanto più la fonte di stress è intensa o prolungata nel tempo, tanto più questa causerà un disagio nelle persone.
Due persone nella stessa situazione, invece, avranno una capacità di fronteggiare lo stress completamente differente, che dipenderà dalle caratteristiche personali, che porteranno ciascuno a privilegiare un tipo di risposta piuttosto che altre, in base a ciò che sa fare meglio o alle proprie esperienze personali.
Un ruolo importante è, inoltre, svolto dagli gli apprendimenti, che determinano la possibilità di riproporre strategie che si sono già rivelate efficaci in passato.

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Ma che cosa è l'adattamento? In che cosa consiste?
Ogni volta che uno stressor perturba l'equilibrio, l'organismo cerca di ritrovare l'omeostasi, ovvero l'equilibrio perduto, attraverso reazioni fisiche, mentali, neurofisiologiche. Le possibili risposte allo stress possono essere:
  • resistenza: lo stress è tempestivamente fronteggiato con le proprie risorse, che, in breve tempo, neutralizzano gli effetti negativi dello stressor. Non ci sono ripercussioni e si ritorna alla situazione di benessere precedente.
  • resilienza: lo stress è fronteggiato con una reazione temporaneamente disfunzionale, fino a che l'individuo non individua una strategia che porta ad un nuovo adattamento. In questo caso lo stress rompe l'equilibrio precedente, ma l'individuo riesce a trovare una nuova forma di equilibrio e benessere, seppur diversamente da quanto era presente prima dell'azione dello stressor.
  • vulnerabilità: le risorse non sono sufficientemente “robuste, ridondanti e rapide” per superare lo stress, che causa una disfunzione persistente.
In una situazione di stress, quindi, l'obiettivo che l'individuo e l'organismo perseguirà, sarà la ricerca di un adattamento alla situazione.
L'adattamento è un'attività complessa e consiste nella messa in atto di azioni finalizzate alla gestione o soluzione dei problemi, alla luce della risposta soggettiva suscitata dagli eventi fonte di stress.
Le azioni volte ad accrescere l'adattamento potranno essere rivolte sia al soggetto, che modificherà qualcosa nel suo funzionamento attuale per consentire il raggiungimento di un nuovo equilibrio, sia all'ambiente, che sarà modificato o riorganizzato alla luce delle nuove esigenze.
Si parla di sindrome generale di adattamento proprio per indicare la risposta del soggetto ad una situazione di stress. Tale sindrome si articola in tre fasi:
  1. Allarme: l'organismo risponde agli stressors mettendo in atto meccanismi di fronteggiamento (coping) sia fisici che mentali, come l'aumento del battito cardiaco, della pressione sanguigna, del tono muscolare e del livello di arousal (attivazione psicofisiologica) per garantire una capacità di reazione più efficace.
  2. Resistenza: il corpo tenta di combattere e contrastare gli effetti negativi della situazione stressante, producendo risposte ormonali specifiche, nel tentativo di recuperare il benessere.
  3. Esaurimento: se gli stressors continuano ad agire, il soggetto può venire sopraffatto e possono prodursi effetti sfavorevoli permanenti a carico della struttura psichica e/o somatica (ansia, depressione, disturbi gastrointestinali, disturbi del sonno, disturbi sessuali, ...).

Suggerimenti per migliorare la capacità di far fronte allo stress al lavoro
  • Prenditi mezzo minuto di silenzio prima di incominciare la giornata lavorativa
  • Prima di incomiciare un compito impegnativo porta l'attenzione ai successivi 5 respiri
  • Resta in contatto con il mondo esterno durante la giornata (es. manda un messaggio al tuo partner o alla tuo/a amico/a)
  • Prendi una pausa a metà mattina e a metà pomeriggio
  • Premiati dopo un compito complesso o faticoso (es. un cioccolatino, un massaggio, una seduta dal parrucchiere, ...).
  • Instaura un rituale di chiusura a fine giornata (es. ascoltare la musica preferita, ...)
  • Usa il senso dell'umorismo

di dott.ssa Maria Luisa Abbinante
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Stress da rientro dalle vacanze: come combatterlo?

6/1/2016

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Ogni anno, alla fine delle vacanze si desidera che quella sensazione di benessere e relax conquistata non ci abbandoni tanto in fretta. Eppure alto è il rischio di riprendere quelle cattive abitudini che avevano portato all'esaurimento psico-fisico prima della partenza, tornando rapidamente a lasciarsi travolgere da mille impegni familiari e professionali.
​
Cosa fare per combattere lo stress della sindrome da rientro?
Il rientro dalle vacanze è vissuto, il più delle volte, come la fine del tempo da dedicare a sé, alo svago e al divertimento, oltreché alle cose che più ci piace fare.
Ma chi ha detto che in città non si possano ricreare delle situazioni simili a quelle che tanto hanno permesso il ristoro psico-fisico durante le vacanze? Questo è un pregiudizio comune, che rischia più di tutto di generare un cortocircuito di stress negativo.

Ecco che il primo obiettivo del rientro deve essere quello di organizzare delle occasioni positive, stimolanti e rilassanti: un week-end con gli amici, una cena nel locale preferito, un pomeriggio in spa, un aperitivo con le amiche, qualunque cosa
vi piaccia fare. Per stare bene le persone hanno bisogno di avere una minima fonte di sollecitazione, di eustress. La presenza di stress positivo è associata ad una condizione di benessere, successo, positività, energia, mentre la totale mancanza di stimoli è negativa, poiché, a lungo andare, genera noia e apatia. Passare il week-end sul divano a ricordare con malinconia il periodo di ferie è controproducente.
Secondo obiettivo sarà quello di favorire le attività all'aria aperta, come camminate al parco, giri in bici, escursioni nei dintorni. Durante le vacanze aumentano le attività all'aria aperta, che mettono in moto il corpo e favoriscono il relax e la possibilità di "staccare la spina" con il lavoro e gli impegni: perchè non provare a mantenere questa sana abitudine?
Terzo obiettivo sarà dedicarsi alla cura di sé, ad esempio preparando i piatti preferiti e riprendendo l'attività sportiva, beneficiando degli effetti positivi del movimento.

E al lavoro? Per mantenere nel tempo la condizione di rilassamento e benessere conquistata durante le vacanze anche al lavoro prova a:

  1. dedicare a te stesso mezzo minuto di silenzio prima di incominciare la giornata lavorativa;
  2. concentrarti su 5 respiri successivi, prima di incominciare un compito che richiede molto sforzo e concentrazione;
  3. premiarti alla fine di quel compito: basta anche soltanto un cioccolatino oppure attività gratificanti come un massaggio, una seduta dal parrucchiere, la tua cena preferita, ...;
  4. restare in contatto con il mondo esterno durante la giornata (es. manda un messaggio al tuo partner o alla tuo/a amico/a);
  5. prenderti una pausa a metà mattina e a metà pomeriggio (anche di pochi minuti);
  6. instaurare un rituale di chiusura a fine giornata: potresti provare a fare una passeggiata fino a casa, ascoltare la musica preferita, ....

Questi piccoli e apparentemente banali suggerimenti ti aiuteranno a concentrarti sul tuo benessere e a mantenere uno sguardo equilibrato sulle tue giornate, senza farti travolgere dalle richieste esterne. 


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   #VoltaPagina

27/11/2015

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Capita a tutti di passare momenti difficili, in cui tutto sembra andare storto e si ha la sensazione che le energie si stiano esaurendo completamente.

Può capitare di sentirsi particolarmente inquieti, nervosi, in cerca di risposte o, al contrario, con la sensazione che sia necessario un cambiamento al più presto ma senza riuscire a comprendere la direzione da prendere.

Capita, anche, che la fine di una relazione, di un amore, di un'amicizia ci lasci esterrefatti, confusi, arrabbiati, a domandarci da dove ripartire.

A chi rivolgersi?
In queste circostanze i primi ad accorrere in nostro aiuto sono i nostri amici, parenti, colleghi, ma non sempre i consigli e le risposte amorevolmente offerti riescono a farci stare meglio.
Altro interlocutore può essere il medico di base... ma se le cose vanno così...
Può anche capitare di pensare rivolgersi a lui...
Tante soluzioni diverse al nostro stato di malessere.

Ma siamo sicuri di avere ricevuto le risposte di cui avevamo bisogno?
#VoltaPagina

Hai mai pensato di rivolgerti ad uno psicologo?
O sei tra quelle persone che credono ancora alla bufala "Dallo psicologo ci vanno solo i pazzi" ?


I video sopra mostrati fanno parte di una miniserie promossa dall'Ordine Psicologi Lazio nell'ambito di una campagna di sensibilizzazione e promozione della professione dello psicologo.
di Dott.ssa Maria Luisa Abbinante
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Based on a work at http://www.ordinepsicologilazio.it/voltapagina/.
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Settimana di Prevenzione dell'Invecchiamento Mentale

30/7/2015

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La "Settimana di Prevenzione dell'Invecchiamento Mentale" è una iniziativa che si propone di promuovere uno stile di vita orientato al mantenimento del benessere fisico e mentale nelle persone non più giovani. 





Perché questa iniziativa? La "Settimana di Prevenzione dell'Invecchiamento Mentale" nasce perché nonostante che molte persone invecchino bene fisicamente, presentano problematiche cognitive (smemoratezza, disattenzione, disorientamento e via dicendo) che rischiano di peggiorare la qualità di vita. Spesso accade che la persona si rassegni passivamente a questo lento declino mentale e cognitivo.

E' sbagliato rassegnarsi. La scienza ha ampiamente dimostrato che appropriati esercizi mentali, corretta alimentazione e movimento fisico permettono di mantenere a un livello costante e ottimale l'abilità, la flessibilità e prestazioni delle funzioni cognitive.

A chi si rivolge l'iniziativa? L'iniziativa si rivolge a chiunque voglia conoscere lo stato di salute delle proprie abilità mentali. Non ci sono vincoli per parteciparvi. salvo volersi prendere cura di se stessi fin da subito. 

In cosa consiste il check-up? Il test è individuale e consiste in prove "carta e matita", che dureranno al massimo circa 45 minuti. Al termine dei test riceverai informazioni personalizzate sul funzionamento delle principali attività cognitive, quali memoria, attenzione, concentrazione, linguaggio. Potremo cercare insieme dei piccoli compiti ed attività che potranno aiutarti a mantenere in ottima forma le tue abilità cognitive.

Il check-up è gratuito.

Puoi prenotarti direttamente compilando il modulo qui sotto lasciando un riferimento telefonico o mail e verrai ricontattato per fissare il tuo check-up.


In alternativa puoi chiamare il numero 393 850 9837.


    Modulo di richiesta check-up

    I tuoi dati sono inviati direttamente allo studio e non saranno visibili agli altri visitatori.
    Ricordati di lasciare anche un numero telefonico se vuoi essere ricontattato telefonicamente.
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L'irritabilità grave nel bambino

29/5/2015

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Pubblicato da Studio di Psicologia Eufonia su GuidaPsicologi.it all'indirizzo web http://www.guidapsicologi.it/articoli/lirritabilita-grave-nel-bambino.
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L'irritabilità è una eccessiva risposta agli stimoli. Il bambino irritabile è un bambino che fatica ad accettare frustrazioni, anche minime, mettendo in campo reazioni che vanno dai capricci, piagnucolii, a veri e propri scoppi di collera e aggressività contro gli oggetti e le persone.

In alcuni casi, l'irritabilità del bambino può essere legata ad uno stile educativo genitoriale particolarmente indulgente, che non gli permette di confrontarsi con la possibilità di posticipare nel tempo la gratificazione dei propri desideri, con il risultato che il bambino non sarà capace di aspettare e tollerare minime frustrazioni delle proprie richieste.
In altri casi, l'irritabilità infantile cronica può segnalare la presenza di un problema più importante.

L'irritabilità nei bambini è stata particolarmente studiata negli ultimi anni, con lo scopo di meglio comprenderne la fenomenologia e comprendere quando diventa il segnale di qualcosa che non va nella vita e nella salute del bambino.
Le ricerche epidemiologiche evidenziano un incremento delle diagnosi di disturbo bipolare BP tra i bambini e gli adolescenti americani negli ultimi 15 anni. 
Secondo alcuni ricercatori la ragione di questo aumento della diagnosi è la considerazione dell'irritabilità grave e cronica come manifestazione tipica del BP nei bambini e negli adolescenti. In età evolutiva l'irritabilità cronica sarebbe, infatti, l'equivalente della mania.
L'irritabilità, che va dall'essere semplicemente noiosi/fastidiosi e permalosi, all'essere rabbiosi con scoppi di collera, è comune nei disturbi mentali (prevalenza tra il 3% e il 20%); essa è considerata una vera e propria manifestazione di disregolazione del tono dell'umore.

La SMD è una condizione caratterizzata da:
  • un umore di base abnorme – es. irritabilità, rabbia e/o tristezza, riportata dagli altri e presente per la maggior parte del tempo;
  • almeno 3 segni di iperarousal – insonnia, irrequietezza motoria, distraibilità, fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente, maggiore loquacità del solito, oppure spinta continua a parlare;
  • aumentata reattività a stimoli emotivi negativi - esplosioni di collera che si manifestano per almeno 3 volte a settimana;
  • compromissione significativa in almeno 2 ambiti - sociale, lavorativo, scolastico.

Questi sintomi incominciano prima dei 12 anni per almeno un anno, non ci sono periodi senza sintomi superiori ai 2 mesi. (Leibenluft et al., 2003; trad. it. mia)

Il National Institute of Mental Health (2001) ha proposto che la SMD sia una manifestazione evolutiva precoce della mania, identificando il cosiddetto "broad phenotype" del disturbo bipolare in età evolutiva.

Quindi il bambino con irritabilità cronica è un bambino bipolare?

Studi longitudinali si sono occupati di meglio comprendere la natura e l'evoluzione nel tempo della SMD.
Brotman et al. (2006) ha ripreso il concetto di Severe Mood Dysregolation (SMD), sottolineando la forte comorbidità con il disturbo della condotta e, più in generale, con i disturbi da comportamento dirompente - il 67% circa dei soggetti SMD avevano anche un'altra diagnosi in asse I, di cui il 26% ADHD, il 25% disturbo della condotta, il 24% disturbo oppositivo provocatorio – segnalando la necessità di un'accurata diagnosi differenziale tra i disturbi dell'umore e i disturbi del comportamento.
Tale studio ha evidenziato, inoltre, che il 20% circa dei soggetti SMD rispettavano i criteri anche per disturbo d'ansia e/o disturbi depressivi, sottolineando l'influenza dell'umore sulle manifestazioni comportamentali. In questo studio longitudinale, Broatman mostra, però, che al follow-up i soggetti SMD avevano maggiore probabilità di mostrare un disturbo depressivo e non di tipo bipolare.
Risultati simili sono stati replicati anche in altri studi (Mikita & Stringaris, 2013; Axelson et al., 2012; Leibenluft et al, 2003, 2006), avvalorando la tesi secondo la quale la disregolazione del tono dell'umore in età evolutiva, che assume le forme di irritabilità e scoppi di collera, in realtà, sia una condizione che permette di predire l'insorgere in età adulta di un disturbo dell'umore di natura depressiva e non bipolare e, quindi, deve rientrare a pieno diritto tra i criteri diagnostici della depressione in età evolutiva.
Il recente DSM 5 (APA, 2013) ha risolto in parte la diatriba trai sostenitori dell'irritabilità come precursore della mania e i sostenitori del sintomo come manifestazione tipica del disturbo depressivo in età evolutiva, introducendo una nuova diagnosi, il Disturbo da disregolazione dell'umore dirompente (DMDD), che è stato inserito nel capitolo dedicato ai disturbi depressivi e in cui centrale è la valutazione dell'irritabilità infantile.

Cosa vuol dire tutto questo?

La nuova diagnosi DSM 5, sicuramente, evidenzia la necessità di valutare più attentamente l'umore, prima di porre una diagnosi di disturbo del comportamento (nelle sue varie forme), considerando la forma di intervento terapeutico più appropriata.

Visto il sovrapporsi della sintomatologia, un interrogativo rimane rispetto alla diagnosi differenziale con il disturbo bipolare con esordio nell'infanzia e adolescenza, al fine di un intervento precoce.

Consigli per i genitori

In tutti i casi sopracitati, anche nelle situazioni in cui si deve valutare la presenza di un disturbo psichiatrico precoce, l'irritabilità rimane sempre espressione di una difficoltà del bambino a comprendere quanto sta accadendo attorno a lui, il Mondo che vive e la possibilità di non vedere immediatamente realizzati i propri desideri.

Lo stile educativo è lo strumento che ciascun genitore ha a sua disposizione per aiutare il bambino, insegnandogli la possibilità di autoregolazione delle proprie emozioni e permettendogli di superare l'illusione di onnipotenza.

Secondo gli esperti lo stile educativo autorevole è, senza dubbio, l'approccio educativo più coerente e capace di promuovere tale capacità di autoregolazione. Il genitore autorevole richiede rispetto e stabilisce regole e tempi per soddisfare ciascun desiderio e volontà del bambino, ne riconosce i bisogni e sollecita la sua opinione. Il genitore autorevole riesce a stabilire un rapporto affettuoso con i propri figli, riconosce e valorizza la loro personalità, li educa ad essere autonomi e li incoraggia ad assumersi le proprie responsabilità e a rispettare gli accordi.


Bibliografia

  • American Psychiatric Association (2000). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition (DSM-IV). Washington, D.C.: APA.
  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition(DSM-5). Washington, D.C.: APA.
  • Axelson, D., Findling, R., F., Fristad, M., A., Kowatch, R., A., Youngstrom, E., A., McCue Horwitz, S., Arnold, L., E., Frazier, T., W., Ryan, N., Demeter, C., Gill, M., K., HauserHarrington, J.-C., Depew, J., Kennedy, S., M., Gron, B., A.,Rowles, B., M., & Birmaher, B. (2012). Examining the Proposed Disruptive Mood Dysregulation Disorder Diagnosis in Children in the Longitudinal Assessment of Manic Symptoms Study. J Clin Psychiatry; 73(10): 1342–1350.
  • Brotman, M., A., Schmajuk, M., Rich, B., A., Dickstein, D., P., Guyer, A., E., Costello, E., J., Egger, H., E., Angold, A., Pine, D., S., & Leibenluft, E. (2006). Prevalence, Clinical Correlates, and Longitudinal Course of Severe Mood Dysregulation in Children. BIOL PSYCHIATRY; 60:991–997.
  • Leibenluft E, Charney DS, Towbin KE, Bhangoo RK, Pine DS (2003). Defining clinical phenotypes of juvenile mania. Am J Psychiatry; 160:430 – 437.
  • Leibenluft E, Cohen P, Gorrindo T, Brook JS, Pine DS (2006): Chronic versus episodic irritability in youth: A community-based, longitudinal study of clinical and diagnostic associations. J Child Adolesc Psychopharmacol; 16:456 –466.
  • Mikita, N., Stringaris, A. (2013). Mood dysregulation. Eur Child Adolesc Psychiatry; 22 (Suppl 1):S11–S16.
  • National Institute of Mental Health (2001). National Institute of Mental Health Research roundtable on prepubertal bipolar disorder. J Am Acad Child Adolesc Psychiatry; 40:871–878.

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La resilienza: cos'è?

23/12/2014

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Il termine resilienza viene dal latino <<resalio>> che significa saltare/rimbalzare.

In psicologia col termine resilienza si indica la capacità del soggetto di adattarsi agli eventi avversi della vita. La resilienza è, dunque, la capacità di un soggetto di mantenere un discreto livello di adattamento nonostante le circostanze sfavorevoli.

Secondo Michael Rutter, la resilienza è la capacità di svilupparsi in modo accettabile, nonostante la presenza di uno stress o di un’avversità che comporta normalmente il rischio di un esito negativo. Si tratta, quindi, non solo di capacità di resistere alle avversità, ma soprattutto di capacità di superare le difficoltà: la persona resiliente, infatti, quando è sottomessa a pressioni, non soltanto resiste, ma è in grado di proteggere la sua integrità, di costruirsi ed aprirsi strade alternative. Ne sono una dimostrazione i sopravvissuti ad eventi traumatici o altamente stressanti: accanto a persone che rimangono irrimediabilmente segnate dalle esperienze vissute, ci sono persone che, al contrario, riescono ad utilizzare quelle esperienze per apprendere qualcosa di sé o dell'ambiente che li circonda.

La resilienza è, in altre parole, la capacità di trasformare un'esperienza difficile, dolorosa o stressante in un apprendimento. La persona resiliente, infatti, è capace di acquisire delle competenze utili al miglioramento della qualità di vita e all’organizzazione di un percorso autonomo e soddisfacente, nonostante la difficoltà. Se l'ambiente in cui l'individuo si ritrova a vivere è ostile o non accogliente, il soggetto con una buona capacità di resilienza riuscirà ad adattarsi, promuovendo un cambiamento di sé che faciliti quell'adattamento. Si tratta, dunque, di un processo di continuo riadattamento, che la persona mette in atto di fronte alle avversità che incontra nella sua vita riuscendo a crescere e vivere “sana” pur in condizioni svantaggiate.

Caratteristiche

La resilienza non è statica, ma dinamica. Ogni situazione, ogni momento storico della vita di una persona o di una società porterà ad un rimaneggiamento della capacità di resilienza di ognuno. La resilienza, infatti, è il risultato dell'interazione dinamica di 3 elementi, che sono:

  • lo stressor, ovvero la situazione di difficoltà nel quale il soggetto è coinvolto;
  • il contesto, nel quale il soggetto vive e che con le sue caratteristiche inevitabilmente avrà un'influenza sulle capacità dell'individuo stesso;
  • le caratteristiche personali.

Ciascun elemento contribuirà di volta in volta a determinare l'equilibrio, che sarà inevitabilmente diverso.

Per spiegare bene il concetto Anthony ha proposto la cosiddetta metafora delle 3 bambole. Se prendiamo 3 bambole composte da materiali differenti (vetro, plastica e acciaio) e diamo a ciascuna bambola un colpo di martello di pari intensità, gli effetti del colpo saranno differenti a seconda del materiale di cui è fatta la bambola: la bambola di vetro si frantumerà in mille pezzi; la bambola di plastica riporterà una cicatrice permanente; la bambola in acciaio non subirà alcun danno. 

Tale metafora è stata ripresa e modificata da Manciaux, che ha sottolineato che la capacità di resilienza di un individuo non dipende solo da fattori personologici, ma è il risultato dell'interazione di più fattori. Se lasciamo cadere una bambola, quindi, l’oggetto si romperà più o meno facilmente a seconda:
- della natura del suolo: cemento, sabbia…
- della forza del lancio: negligenza o aggressione
- del materiale di cui è fatta: vetro, porcellana, pezza o acciaio.
Il suolo rappresenta l’ambiente/contesto nel quale il soggetto vive (familiare, sociale e culturale); il lancio rappresenta l’evento difficile o traumatico vissuto, lo stressor; la resistenza del materiale è il livello di vulnerabilità legato alla personalità del soggetto.

Strategie utili per sviluppare resilienza:
  • curare le buone relazioni con le persone del proprio ambiente sociale; 
  • vedere che ogni problema ha una soluzione possibile e all’interno di una prospettiva di un lungo periodo;
  • avere obiettivi realistici da perseguire con regolarità;
  • compiere azioni decise di fronte alle avversità, piuttosto che subirle;
  • assumere l’atteggiamento di chi ha qualche cosa da imparare ad ogni evento e che sa che il cambiamento fa parte della vita;
  • prendersi cura di se stessi.

                                                                                                     di Dott.ssa Maria Luisa Abbinante

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Disturbi specifici del linguaggio nei bambini stranieri: una diagnosi possibile?

15/5/2014

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La conoscenza e la comprensione della lingua italiana rappresentano due delle principali difficoltà che i minori immigrati, sia di prima che di seconda generazione, si ritrovano a dover affrontare al momento del primo ingresso a scuola italiana. Gli stessi educatori, sia della scuola materna che della scuola primaria, spesso rimandano agli operatori sanitari il sospetto di disturbi specifici del linguaggio (DSL) o, più avanti nel tempo, di disturbi specifici dell'apprendimento (DSA).

In realtà parlare di DSL o DSA nei bambini immigrati è alquanto pericoloso, per il rischio di scambiare per DSL o DSA, ovvero per disturbi con una forte matrice neurocognitiva, una difficoltà che è legata all'apprendimento della seconda lingua, l'italiano. Questi bambini sono, infatti, a tutti gli effetti dei bambini bilingui, con tutte le problematiche che la letteratura associa all'apprendimento di una seconda lingua in termini fonologici, lessicali, morfosintattici e pragmatici.

È possibile distinguere diverse tipologie di bilinguismo:
  • bilinguismo simultaneo – si realizza una esposizione parallela alle due lingue entro i 2-3 anni;
  • bilinguismo successivo – il bambino viene esposto dapprima ad una lingua, che diremo L1 e solo in un secondo momento, tra i 3-8 anni, sarà esposto alla L2;
  • bilinguismo tardivo – quando l'esposizione alla L2 avviene dopo gli 8-10 anni;

I bambini immigrati, sia di prima che di seconda generazione, difficilmente si ritrovano in una condizione di bilinguismo simultaneo. Nella maggior parte dei casi, infatti, questi bambini hanno un accesso alla L2, l'italiano, a carattere intermittente ed episodico sino all'ingresso alla scuola materna, che diventa il contesto di principale socializzazione alla lingua e agli usi e costumi della cultura italiana. In molti casi si assiste, da questo momento in poi, ad uso settoriale delle due lingue: a casa la prima lingua, L1, a scuola l'italiano, L2.

Tale condizione, inevitabilmente, determina delle difficoltà e problematicità, che potrebbero essere erroneamente riconosciute dagli operatori scolastici come DSL o DSA.

Si sono moltiplicati negli anni numerosi studi che hanno avuto come oggetto l'apprendimento delle lingue in bambini bilingui immigrati.
Le teorie a riguardo sono abbastanza contrastanti: 
  • in alcuni casi si afferma che l'esposizione precoce alla lingua del paese ospitante è un vantaggio per il bambino, che potrà trasferire le competenze acquisite con la L1 anche nella L2;
  • in altri casi si affermano le cosiddette teorie del bilinguismo sottrativo, che sostengono l'ipotesi di un apprendimento competitivo della L1 ed L2: la L2, in altre parole, l'apprendimento della L2 sottrarrebbe risorse deputate all'apprendimento della lingua madre, con effetti negativi su entrambe le lingue, quali lessico povero e povera profiency/competenza linguistica. In tali situazioni l'acquisizione delle due lingue nei bambini, quindi, sembrerebbe avvenire in modo quasi totalmente separato, per non dire competitivo e interferente e potrebbe risultare estremamente rallentato (spesso si osserva in queste situazioni un periodo caratterizzato dalla mancanza quasi totale di comunicazione verbale, generalmente vissuto con molta ansia da parte del bambino, della famiglia e degli educatori). 

Le principali problematicità dell'apprendimento linguistico nel bambino immigrato riguardano, inoltre:
  • l'omogeneità/disomogenità delle due lingue: tanto più la L2 avrà caratteristiche simili alla lingua principale, tanto più facile per il bambino sarà l'apprendimento della seconda lingua;
  • le caratteristiche proprie delle due lingue, tenendo conto della distinzione tra lingue trasparenti, come l'italiano, in cui c'è una corrispondenza precisa tra fonema/grafema, che pertanto richiede una competenza metafonologica precisa, appresa precocemente già a partire dalla famiglia dai bambini madrelingua. I bambini stranieri, al contrario, incontrano importanti difficoltà già a partire da questo compito linguistico, soprattutto se la L1 è una lingua opaca, ovvero in mancanza di una coincidenza precisa e stabile tra grafema/fonema (uno stesso grafema avrà un corrispettivo fonetico differente a seconda del contesto testuale in cui è inserito);
  • la bassa profiency anche nella L1, dato che i contesti di apprendimento ed uso della lingua sono estremamente limitati e spesso circoscritti al solo contesto della famiglia nucleare, in mancanza, quindi, di occasioni che permettano di ampliare il vocabolario o di contesti di apprendimento strutturati e in cui il bambino può essere corretto.

Uno studio condotto da Pàez e colleghi (2007), infine, dimostra che il bilinguismo sommato alla condizione di migrante può rappresentare un ulteriore fattore di rischio, in quanto i bambini bilingui analizzati avevano prestazioni nei compiti linguistici analizzati di circa 2 d.s. inferiori a quello dei monolingui.

Tutto questo significa che non si può fare diagnosi di DSL nei bambini stranieri?

Ovviamente no! Una diagnosi di DSL è possibile anche nei bambini non madrelingua italiani, anche se in questi casi la diagnosi differenziale deve essere ancora più precisa ed accurata, che dovrà tener conto, tra le altre cose, dell'età e del tempo di esposizione alla L2.

Bibliografia
  • Beltrame, R. (2011). Acquisizione della lingua italiana e integrazione sociale in bambini in età prescolare figli di immigrati: fattori di promozione vs ostacolo. Tesi di dottorato.
  • Marineddu, M, Duca, V., Cornoldi, C. (2006). Difficoltà di apprendimento scolastico negli alunni stranieri. Difficoltà di apprendimento, 12:1:49-70.
  • Il bambino bilingue. Approfondimenti teorico-scientifici per una nuova presa in carico diagnostico-terapeutica. Convegno organizzato da A.O. "G. Salvini", Garbagnate Milanese.

                                                                                                             di dott.ssa Maria Luisa Abbinante

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    dott.ssa Abbinante
    È Psicologa Consulente presso l'UONPIA (Unità Operativa di NeuroPsichiatria dell'Infanza e dell'Adolescenza) della ASST Rhodense di Garbagnate Milanese nell'ambito del Programma Innovativo Regionale “Procedura Operativa dell'emergenza/urgenza psichiatrica in adolescenza”, dove si occupa di diagnosi e trattamento di disturbi psicopatologici con esordio in adolescenza.
    Si occupa di valutazione e trattamento di esordi psicopatologici nell'infanzia e nell'adolescenza, di interventi di supporto della genitorialità, di sostegno psicologico a persone con malattia cronica e di prevenzione ed intervento precoce nella fragilità dell'anziano.

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