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DOTT.SSA MARIA LUISA ABBINANTE
PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA

Emergenza Covid-19. Consigli di benessere psicologico durante la quarantena.

23/3/2020

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 Siamo ormai giunti alla fine della seconda settimana di quarantena, dopo il DPCM del 7 Marzo u.s. e successivi, che prima consigliavano caldamente e poi disponevano, con sanzioni penali in caso di infrazione, l’isolamento di ciascuno nella propria abitazione, a fine di evitare l’ulteriore diffusione del virus covid-19.

Ma quali sono gli effetti della quarantena sul benessere psicologico dell’individuo?
È indubbia la necessità di tale misura restrittiva della libertà di ognuno, in un momento tragico della storia dell’umanità; pertanto il primo assunto deve essere quello di seguire quanto le Autorità Competenti ci dicono di fare (#iorestoacasa).
Come ciascuno di noi ha sperimentato nelle scorse settimane, però, tale isolamento diventa sempre più faticoso da sopportare.
Una recente review pubblicata su Lacet (Brooks & co., 2020) si concentra proprio sulle conseguenze e i rischi psicologici della misura di quarantena.
La separazione dalle persone più care, la perdita della libertà personale, l’incertezza sul proprio stato di salute o di malattia e la noia possono avere degli effetti severi sulla psiche degli individui. Studi epidemiologici su soggetti sottoposti a misure di quarantena evidenziano, infatti, la prevalenza di sintomi post traumatici, depressione, stress, irritabilità, ansia, insonnia, rabbia e esaurimento emotivo, con un permanere di un disagio psicologico anche per mesi e/o anni dalla fine della quarantena. Anche dopo settimane o ad un anno dalla fine del periodo di quarantena, ad esempio, le persone continuavano a presentare comportamenti evitamento di luoghi o persone e comportamenti di controllo quali l’attento lavaggio delle mani. Molte persone riferivano, inoltre, la difficoltà a ritornare ad una “normalità” per molto tempo dopo la fine della quarantena.
Ciò che sembra avere un maggiore impatto sul distress psicologico, oltre ai fattori personali già citati, sono: prima di tutto, la durata della quarantena, che, quindi, deve essere protratta solo per il tempo effettivamente necessario e non deve essere prolungata oltre; la paura di essere infettati ha un ruolo considerevole nel generare stress soggettivo; la frustrazione e la noia, legati alla riduzione o alla sospensione delle attività giornaliere in cui ciascuno era impegnato; il timore di non avere abbastanza provviste o possibilità di approvvigionamento; infine, la confusione legata alle informazioni inadeguate ricevute. Riguardo a quest’ultimo punto, sembra utile dare alla popolazione sottoposta a quarantena delle linee guida chiare sulle azioni da mettere in atto, la natura del virus e la possibile durata della quarantena, evitando il più possibile messaggi ambivalenti o passibili di interpretazione.
Fattori predittivi di un peggiore impatto negativo della quarantena risultano la giovane età (16-24 anni), la minore scolarizzazione, il sesso femminile e l'avere un solo figlio (avere tre o più figli è risultato fattore protettivo). In tal senso non tutti gli studi sono, però, concordi.
Altri fattori di rischio sono il possedere una storia personale di sintomi psichiatrici o essere impiegato nel settore delle professioni sanitarie. In particolare, i sanitari sarebbero maggiormente esposti al rischio di sviluppare sintomi post traumatici, rabbia, fastidio, paura, frustrazione, senso di colpa, impotenza, isolamento, solitudine, nervosismo, tristezza, preoccupazione oltre ad essere maggiore oggetto di stigmatizzazione in caso essi stessi siano stati sottoposti a misure di isolamento. La stigmatizzazione è risultato uno dei fattori di rischio maggiori sia durante la quarantena e che nel post quarantena: diversi lavoro scientifici mostrano, infatti, che i sanitari sottoposti a periodo di quarantena erano frequentemente oggetto di stigma o rifiuto sociale, ad esempio erano evitati attivamente, perdevano possibilità di coinvolgimento in iniziative sociali, erano trattati con paura e sospetto o con commenti critici.

Quali fattori, dunque, possono avere un effetto virtuoso nel mitigare gli effetti di distress psicologico della quarantena?
Abbiamo già citato l’importanza del dare delle informazioni chiare circa i comportamenti da attuare e da evitare, oltrechè sulla natura del rischio infettivo o sulla necessità di prevedere adeguate forme di approvvigionamento. ​
Risulta efficace, inoltre dare delle informazioni pratiche sulla gestione del tempo e sulla gestione dello stress, per ostacolare le eventuali emozioni di angoscia alimentate dalla noia e dall’isolamento. In tal senso, è utile attivare una rete sociale personale, che ha un effetto di riduzione delle emozioni di ansia e angoscia, oltre che di rassicurazione riguardo al proprio e altrui stato. La possibilità di accedere, tuttavia, anche ad una rete di esperti risulta importante nel ridurre le emozioni negative e nella gestione dell’eventuale comparsa di sintomi, che potrebbero essere male interpretati o per predisporre celeri interventi nel caso emergano sintomi tipici del virus. Infine, risulta molto positiva l’influenza di comportamenti prosociali e di altruismo, ovvero di aiuto alle perone più fragili, nel ridurre lo stress da quarantena.

​Cosa fare, dunque, per affrontare la quarantena?
L'Ordine Nazionale Psicologi suggerisce piccoli accorgimenti da attuare nella quotidianità, per contenere le emozioni di ansia e preoccupazione e mantenere un approccio realista rispetto agli avvenimenti.
Tre buone pratiche per affrontare il coronavirus
  1. Evitare la ricerca compulsiva di informazioni, che rischiano di avere un effetto di aumento dell'ansia e della preoccupazione. Bisogna tener conto che le informazioni che i media diffondono in rapida successione creano uno stato di “allarme psicologico permanente”, che provoca una aumentata percezione dei rischi, che spinge ad una ulteriore ricerca ossessiva di informazioni più rassicuranti. Di fatto, però, i media sono orientati all'aumentare l'attenzione verso il problema e propongono prevalentemente informazioni allarmanti. Si crea, così, un circolo vizioso in cui le paure e ansie personali sono continumente alimentate e spingono alla ricerca di ulteriori informazioni.
  2. Usare e diffondere fonti informative affidabili. E’ bene attenersi a quanto conosciuto e documentabile. Quindi: basarsi SOLO su fonti informative ufficiali, aggiornate e accreditate (Ministero della Salute: www.salute.gov.it/nuovocoronavirus e Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus)
  3. Un fenomeno collettivo e non personale. Il Coronavirus non è un fenomeno che ci riguarda individualmente. Ci dobbiamo proteggere come collettività responsabile, usando le regole suggerite dall'Istituto Superiore di Sanità. L'uso regolare di queste buone pratiche riduce significativamente il rischio di contagio per sé, per chi ci è vicino e per la collettività tutta.

Buone pratiche
L’Istituto Superiore di Sanità indica semplici azioni di prevenzione individuale.
Eccole qui riassunte:
  • Evita il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute.
  • Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione.
  • Bisogna lavarsi le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 20 secondi, fino ai polsi. Se acqua e sapone non sono a portata di mano, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcol con almeno il 60% di alcol.
  • Il virus entra nel corpo attraverso gli occhi, il naso e la bocca, quindi evita di toccarli con le mani non lavate.
  • Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci; usa fazzoletti monouso.
  • Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate.
  • Non prendere farmaci antivirali né antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico.
  • Contatta il numero verde 1500 se sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni e hai febbre o tosse.
  • Se stai male e hai sintomi compatibili con il Coronavirus, contatta telefonicamente il tuo medico di base o il 118, senza recarti direttamente in ambulatorio o in Pronto Soccorso (per ridurre eventuali rischi di contagio a terzi o al personale sanitario).
  • Rispetta rigorosamente solo i provvedimenti e indicazioni ufficiali delle Autorità di Sanità Pubblica: sono una tutela preziosa per te e per tutti.

L’uso regolare di queste azioni elementari riduce significativamente i rischi di contagio per sé, chi ci è vicino e la collettività tutta.

Se, nonostante questi accorgimenti, l'ansia e la preoccupazione diventano eccessive, Non ti vergognare di chiedere aiuto.
Tutti possiamo avere necessità, in certi momenti o situazioni, di un confronto, una consulenza, un sostegno, anche solo per avere le idee più chiare su ciò che proviamo e gestire meglio le nostre emozioni, e questo non ci deve far sentire “deboli”.
La comunità degli psicologi si è organizzata per consulenze a distanza per offrire il giusto supporto a chi ne ha bisogno.

Bibliografia
- Brooks, S., K., Webster, R., K., Smith, L., E., Wooland, L., Wessely, S., Greenberg, N., et al. (2020). The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. Published: February 26, 2020 DOI:https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)30460-8
​- CNOP (2020). VADEMECUM PSICOLOGICO CORONAVIRUS PER I CITTADINI. Perché le paure possono diventare panico e come proteggersi con comportamenti adeguati, con pensieri corretti e emozioni fondate. Consultabile su: https://www.psy.it/vademecum-psicologico-coronavirus-per-i-cittadini-perche-le-paure-possono-diventare-panico-e-come-proteggersi-con-comportamenti-adeguati-con-pensieri-corretti-e-emozioni-fondate


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Emergenza Covid-19. Quali effetti della quarantena sul benessere psicologico? didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

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Stati mentali a rischio e prodromi psicotici.

3/3/2018

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Negli ultimi decenni la letteratura psichiatrica si è concentrata sullo studio dei fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi mentali gravi come le psicosi.
Il modello eziopatogenetico più accreditato è il cosiddetto modello vulnerabilità-stress, che sostiene che l'insorgenza e decorso di una psicosi sia determinato da una vulnerabilità soggettiva unita all'impatto di stress ambientali, che possono scatenare sintomi psicotici attivi. Le principali determinanti di questa vulnerabilità sembrano essere biologici (genetici e legati allo sviluppo neurologico) e la sua espressione come disturbo franco è influenzato da entrambi i trigger, psicosociali e  fisici (ad esempio abuso di sostanze).
Il concetto di stati mentali a rischio rimanda alla cosiddetta fase prodromica della psicosi, ovvero una fase in cui non sono ancora presenti sintomi psicotici tout court, ma il soggetto incomincia a presentare delle alterazioni emotive, cognitive e del comportamento peculiari, che gli studi longitudinali hanno mostrato essere presenti nel circa 40% dei soggetti diagnosticati come esordio psicotico (vedi gli studi di Young e Mc Gorry e la letteratura psichiatrica recente di stampo anglofono).
È importante precisare che gli stati mentali a rischio e i prodromi indicano una aumentata vulnerabilità allo sviluppo di un disturbo psicotico e/o un disturbo psichiatrico maggiore.
Young e Mc Gorry definiscono stati mentali a rischio quel set di sintomi che la letteratura mostra essere caratteristico della fase di transizione (la cosiddetta fase prodromica) verso l'esordio psicotico. Tali sintomi comprendono: sintomi psicotici attenuati, ovvero sintomi di stampo psicotico (umore delirante, idee di riferimento, esperienze percettive insolite) con intatto esame di realtà, quindi ben criticati dal soggetto, ma di intensità e/o frequenza insufficiente; sintomi psicotici brevi e intermittenti, ovvero sintomi francamente psicotici ma con rapida remissione spontanea. 
Tra gli stati mentali a rischio vanno annoverati anche i soggetti che presentano dei sintomi del tutto aspecifici (anche banalmente sintomi di ansia), ma che presentano anche un importante deterioramento del funzionamento psico-sociale e una familiarità positiva per psicosi.
Gli stati mentali a rischio rientrano nel quadro più generale dei sintomi prodromici, che sono un eterogeneo gruppo di comportamenti correlati con una franca psicosi, ovvero:
  • cambiamenti nelle emozioni (ansia, irritabilità, depressione, sospettosità, irritabilità, rabbia, sensazione di tensione);
  • cambiamenti a livello cognitivo (difficoltà di concentrazione o nella memoria, idee bizzarre, vaghezza, cambiamenti nei contenuti di pensiero, come preoccupazioni legate a nuovi pensieri di natura inusuale)
  • cambiamenti nella percezione di sé, degli altri e del mondo;
  • cambiamenti fisici e percettivi (disturbi del sonno, cambiamenti dell'appetito, disturbi somatici, perdita di energia e motivazione, alterazioni percettive).
Oltre a questo set sintomatologico peculiare, la fase prodromica è caratterizzata da un progressivo deterioramento del funzionamento psico-sociale del soggetto (progressivo ritiro sociale, scarsa motivazione e apatia, perdita dell'interesse nella socializzazione, diminuzione della partecipazione sociale e familiare, peggioramento dei risultati scolastici e lavorativi, ...). Tale deterioramento è parte integrante della fase prodromica e rientra nella valutazione dello stato mentale a rischio.

Cosa avviene durante la fase prodromica?
La fase prodromica è caratterizzata da una percezione di fortissimo stress interno o esterno, che il soggetto non riesce a spiegare o di cui non riesce ben a riconoscere la causa (fase di irritazione). C'è la comparsa dei cosiddetti sintomi di base: disturbi dell'attenzione/concentrazione; disturbi della forma del pensiero – che si blocca, è accellerato, confuso, vuoto; disturbi della comprensione – es. mancata comprensione delle metafore e comprensione letterale; disturbi della memoria; funzionamento emotivo ridotto; alterazione dell'affettività, ovvero espressione facciale, contatto oculare, eloquio e affettività inappropriata. Il soggetto percepisce, in questa fase, una atmosfera nuova e inconsueta a cui non riesce a dare un senso e un significato. Tale percezione si intensifica progressivamnte con un effetto dirompente sull'assetto psicologico fino a quel momento. Ecco che il soggetto ricerca una nuova spiegazione e una nuova cornice di significato per cercare di dare senso alle esperienze inconsuete.
Tale spiegazione è cercata all'esterno, ovvero c'è una proiezione all'esterno della causa dei cambiamenti esperenziali (fase di esternalizzazione). Le percezioni, le azioni e le sensazioni corporee strane ed insolite vengono esperite “come se” fossero dei “fatti dall’esterno” e i pensieri uditi “come se” fossero vocalizzati da voci esterne (esperienze di passività di Schneider: idee di influenzamento somatico; senso di azioni imposte; furto ed influenzamento del pensiero). Il contenuto del pensiero diviene insolito, l'umore delirante, il paziente appare perplesso rispetto alle proprie esperienze e compaiono idee di riferimento e idee non bizzare. Compaiono, quindi, i primi sintomi positivi, caratteristici della schizofrenia, sebbene in maniera più sfumata e incompleta.
Il mantenersi nel tempo di tali esperienze porta ad una maggiore strutturazione della sintomatologia psicotica (fase di concretizzazione). Se nella fase precedente il paziente era ancora critico e perplesso dalle spiegazione “come se” delle sue esperienze, ora c'è una concretizzazione della spiegazione insolita dell'esperienza, non più passibile di critica.

Individuare per intervenire precocemente
L'obiettivo della precoce individuazione di stati di vulnerabilità, ovvero di stati mentali a rischio, è di predisporre degli interventi tempestivi.
Tali interventi possono avere come target sia i soggetti in fase prodromica o che presentano uno stato mentale a rischio sia soggetti con esordio psicotico vero e proprio.
Quando si parla di intervento precoce, il primo obiettivo è quello di ridurre la DUP (Duration of Untreated Psychosis), ovvero il periodo che intercorre tra l’esordio dei primi sintomi di natura psicotica e il primo trattamento terapeutico, che in media è di 6/18 mesi. Minore DUP, infatti, si correla a:
  • riduzione della morbilità;
  • un più rapido processo di guarigione;
  • prevenzione delle ricadute;
  • preservazione delle abilità sociali;
  • conservazione dei rapporti familiari e sociali;
  • minore necessità di ospedalizzazione.
Ridurre la DUP significa decrementare la severità del primo episodio psicotico, oltrechè minimizzare le complicanze che potrebbero derivare dalla psicosi non trattata. Numerosi studi mostrano, infatti, che il ritardo nel trattamento rende la psicosi biologicamente radicata, nel senso che una DUP più lunga è legata a tassi più lenti di recovery e minori livelli di recovery, maggiori tassi di recidiva e bassi livelli di funzionamento sociale e lavorativo, indipendentemente dalla presenza di altri fattori prognostici. Al contrario, la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo porta a un migliore recupero.

Si può guarire dalla psicosi?
La maggior parte dei giovani che vivono il loro primo episodio psicotico fa un recupero completo, anche se una minoranza significativa (circa il 10-20%) svilupperà sintomi persistenti.
La traiettoria di recovery è abbastanza variabile. Una volta che il trattamento viene istituito, alcune persone miglioreranno lentamente, ma inesorabilmente, mentre altri passeranno attraverso un periodo di apparente mancanza di progressi e per poi fare sbalzi di benessere. 
Una volta raggiunta una recovery, l'obiettivo sarà il mantenimento e la promozione del benessere per evitare delle ricadute, Ogni ricaduta è un rischio potenziale per lo sviluppo di una compromissione e disabilità duratura e contribuisce allo sviluppo di una resistenza al trattamento. 

Bibliografia

Besozzi, M., Comai, A., Garbazza, C., Provenzani, U., Boso, M. (2012). Diagnosi precoce e intervento tempestivo nei disturbi psicotici. Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia 125(1):29-36.
Edwards, J., McGorry, P., D. (2004).  Intervento precoce nelle psicosi. Guida per l'organizzazione di servizi efficaci e tempestivi. Centro scientifico Editore, Italia.
Philips LJ, Yung A, Mc Gorry PD et al. (2005). Mapping the onset of psychosis: the Comprehensive Assessment of At-Risk Mental States. Aust N Zeal J Psychiatry; 39:964-971.

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Maggio di Informazione Psicologica 6 - M.I.P.

26/4/2013

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Anche lo Studio di Psicologia Eufonia aderirà alle iniziative promosse nell'ambito del "MIP 6 -Maggio di Informazione Psicologica" attraverso 2 iniziative pubbliche:

_ "SOS Batterie esaurite! La donna multitasking tra lavoro, famiglia, cura dei genitori anziani."
Le statistiche demografiche mondiali segnalano il progressivo invecchiamento della popolazione, con un ulteriore incremento del numero di anziani nel prossimo decennio. L'aumento del numero di anziani è un tema di grande rilevanza sociale a causa degli importanti oneri assistenziali a carico delle famiglie.
Le ricerche evidenziano che il carico assistenziale e di cura del familiare anziano coinvolga prima di tutto le madri e le figlie.
Se in passato lo scarso coinvolgimento della donna in attività lavorative fuori dal contesto domestico rendeva il compito di cura ed assistenza più semplice da gestire, oggi il maggiore coinvolgimento fuori dalle mura domestiche rende tale compito un carico di difficile gestione. In breve tempo la donna arriva ad essere esausta, irritabile con un forte rischio di burden, ansia e depressione.
Ma cosa si intende per burden? Come si manifesta? Cosa fare?
L'iniziativa si terrà il 17 Maggio 2013 dalle ore 17.00 alle ore 18.30 presso lo Spazio 6 Centro in via Savona 99, Milano.
                                                                                                             


_ "Invecchiare con la testa! La vita dai 60 in su."
La società di oggi ci propone immagini spaventanti dell'età senile, rappresentata come territorio oscuro, di decadimento e di malattia. Ma è davvero così?
Persone illustri come Rita Levi Montalcini dimostrano come si può invecchiare rimanendo al massimo della propria forma intellettuale e cognitiva.
Ma quali sono i trucchi di un invecchiamento DOC?
L'iniziativa si terrà il 25 Maggio 2013 dalle ore 10.00 alle ore 11.30 presso lo Studio di Consultazione e Psicoterapia in L.go Settimio Severo 2, Milano.
Si può prenotare la partecipazione al seminario entro il 22/05 al numero 3938509837 o all'indirizzo mail abbmarilu@libero.it

Nell'ambito dell'iniziativa sarà possibile prenotare un primo colloquio gratuito. 
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                                                                                                                                                                 di dott.ssa Maria Luisa Abbinante
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Gli altri che paura ...... La fobia sociale: Di cosa parliamo?

1/9/2012

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Il Manuale di Disturbi Psichatrici (DSM IV-TR) definisce la Fobia Sociale come una paura marcata e persistente nel tempo di situazioni sociali o di performance, nelle quali la persona è esposta a persone non familiari o al possibile giudizio degli altri.
 Situazioni tipiche sono:
- parlare o lavorare in pubblico;
- iniziare una conversazione;
- essere presentati ad altre persone;
- essere al centro dell'attenzione;
- fare e/o accettare complimenti;
- dire e difendere la propria opinione;
- partecipare a feste;
- ......
Nelle situazioni sociali o di performance temute, gli individui con Fobia Sociale sono preoccupati di rimanere imbarazzati e timorosi di essere giudicati inadeguati, ansiosi, deboli, “pazzi” o stupidi. Tali circostanze provocano nel soggetto una forte attivazione viscerale (sudorazione intensa, tachicardia, rossore nel viso, malessere gastrointestinale, diarrea, nausea, tensione muscolare, .....), che, nei casi più gravi, può assumere le caratteristiche di un attacco di panico. Per tali ragioni il soggetto evita oppure sopporta con notevole ansia e disagio i  momenti sociali o di possibile giudizio e spesso sviluppa una notevole ansia anticipatoria prima dell'esposizione alle situazioni temute.
Da un recente studio di McManus et al. (2010) emerge un vero e proprio "modo di essere" delle persone con Fobia Sociale, caratterizzato da un senso di distacco (i soggetti riferivano di essere introspettivi e assorbiti dal proprio mondo e di avere difficoltà a guardare fuori da sè) con una connotazione emotiva fortemente negativa (pensiero di esser considerati stupidi, sensazione che tutto sia falso, incertezza circa le cause di un problema e paurosi sulle possibili conseguenze) e una coerente attivazione viscerale. I temi narrativi conseguenti a questa esperienza di sè sono temi legati alla vergogna e all'imbarazzo intensi e incontrollabili, che il soggetto deve nascondere a tutti i costi e che lo portano all'evitamento del mondo circostante e al progressivo isolamento. In situazioni sociali, quindi, queste persone sarebbero completamente assorbite da sè e dal timore di essere giudicate o di non essere all'altezza della situazione con grande vergogna, imbarazzo e scarsa attenzione alle circostanze reali  in un circolo vizioso che continua ad autoalimentarsi.
Altre caratteristiche associate spesso alla Fobia Sociale sono:
- ipersensibilità alla critica;
- difficoltà ad essere assertivi;
- ridotta possibilità di supporto sociale;
- scarse capacità sociali (es. scarso contatto visivo).
Può accadere anche che le prestazioni scolastiche o lavorative siano danneggiate dalla difficoltà a parlare in pubblico, in gruppo, ai colleghi o alle persone in posizione di autorità e, nei casi più gravi, questi individui possono decidere di lasciare la scuola, essere disoccupati o possono avere problemi a trovare lavoro per la difficoltà di sottoporsi a colloqui di selezione.
Diversi studi evidenziano che il disturbo sia molto stabile nel tempo ed emerga da una storia infantile di timidezza ed inibizione sociale, motivo per cui, nel DSM III, la diagnosi era fusa con il disturbo evitante di personalità, che condivide con la Fobia Sociale la marcata insicurezza sociale, il disagio e la timidezza. L'attuale DSM IV-TR, invece, opera una distinzione tra Fobia Sociale, considerata un disturbo d'ansia e disturbo evitante di personalità.

TRATTAMENTO
La Fobia Sociale ha una buona risposta al trattamento psicofarmacologico, che, però, da solo non basta a modificare il modo di fare esperienza di sè che caratterizza il disturbo, lavoro possibile solo attraverso un intervento di tipo psicoterapeutico. Per tale ragione la ricerca suggerisce che il trattamento sia integrato (psicofarmacologico e psicoterapeutico).

Bibliografia
- American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders. 4th ed., revised. Washington, DC: Author; 2000.
- McManus, F. , Peerbhoy, D., Larkin, M., & Clark. D. M. (2010).  Learning to change a way of being: An interpretative phenomenological perspective on cognitive therapy for social phobia. Journal of Anxiety Disorder, 24(6): 581–589.
- Widiger, T. A., & Mullins-Sweatt, S. (2003).Mental Disorders as Discrete Clinical Conditions: Dimensional versus Categorical Classification. In: Hersen, Michel (Ed); Turner, Samuel M. (Ed), (2003). Adult psychopathology and diagnosis (4th ed.)., (pp. 3-35). Hoboken, NJ, US: John Wiley & Sons Inc, xiv, 706 pp.
 
                                                                                                                                                                 di dott.ssa Maria Luisa Abbinante

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    dott.ssa Abbinante
    È Psicologa Consulente presso l'UONPIA (Unità Operativa di NeuroPsichiatria dell'Infanza e dell'Adolescenza) della ASST Rhodense di Garbagnate Milanese nell'ambito del Programma Innovativo Regionale “Procedura Operativa dell'emergenza/urgenza psichiatrica in adolescenza”, dove si occupa di diagnosi e trattamento di disturbi psicopatologici con esordio in adolescenza.
    Si occupa di valutazione e trattamento di esordi psicopatologici nell'infanzia e nell'adolescenza, di interventi di supporto della genitorialità, di sostegno psicologico a persone con malattia cronica e di prevenzione ed intervento precoce nella fragilità dell'anziano.

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